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SPECIALE – Caso Filippi, parla l’imprenditore vicentino dopo la richiesta di archiviazione

di Ivano Tolettini -


“Se non avessi una moglie e due figlie che mi amano, oltre ai familiari più stretti, e validi collaboratori che hanno sempre creduto in me, avrei rischiato di essere stritolato da una storia così infamante. La verità di questa vicenda incredibile è che sono stato accusato da un pentito di essere il mandante dell’intimidazione a un giornalista. Pazzesco perché il pentito si è inventato tutto e l’ha fatto pure male come emerge dall’inchiesta”. Adesso che la Procura antimafia di Venezia ha richiesto l’archiviazione, l’imprenditore vicentino Alberto Filippi, titolare di Unichimica ed ex parlamentare, può finalmente rilassarsi. Anche se la battaglia per riabilitare la sua reputazione, che la scorsa estate è stata travolta, è in pieno svolgimento.
“Non auguro a nessuno quello che ho patito – racconta Filippi -, da quando, era il 13 agosto scorso, apprendo dai giornalisti di essere sotto inchiesta per l’attentato all’attuale caporedattore del Gazzettino, Ario Gervasutti, con l’aggravante dello stampo mafioso. Quel giorno di agosto ero appena arrivato in Sardegna e stavo cominciando la mia meritata vacanza con mia moglie e le mie bambine dopo un anno di lavoro e di responsabilità, quando la mia faccia finisce su tutti i giornali e sulle televisioni. Mi vergognavo di andare in spiaggia perché nell’albergo in cui mi trovavo tutti mi conoscevano. Un massacro. Tra l’altro, ero nell’impossibilità di difendermi, anche dal processo mediatico che subito si è sviluppato, perché gli uffici giudiziari erano chiusi per il Ferragosto. Mi ero consultato con i miei legali Cesare Dal Maso e Renzo Fogliata, ma non sapevamo nulla, al di là del capo d’imputazione, che avremmo però avuto solo il 6 settembre.”
Nel frattempo che cosa accade?
“Che vengo fatta a pezzi dai titoli cubitali sui giornali e dei servizi televisivi che per giorni mi hanno demolito. Io sapevo che erano solo falsità. Però per farmi interrogare ho dovuto aspettare la fine di ottobre. Ringrazio comunque il Pm Stefano Buccini che mi ha ascoltato per 18 ore in due giorni senza alcun pregiudizio, ma non posso non farmi alcune domande”.
La prima?
“Per quale motivo, poiché le dichiarazioni di Domenico Mercurio contro di me sono del 18 novembre 2020, fino alla conclusione delle indagini preliminari non sono mai stato interrogato? Avrei potuto smontare fin da subito ogni falsità delle accuse del pentito con elementi oggettivi su ogni capo d’imputazione”.
Ad esempio?
“Che io avrei commissionato a Mercurio l’attentato contro Gervasutti, all’epoca secondo il pentito ancora direttore del Giornale di Vicenza perché avrebbe scritto sulla mia azienda notizie di un inquinamento, mentre Gervasutti era stato licenziato da direttore del Giornale di Vicenza dal 6 settembre 2016. E l’attentato è stato commesso il 16 luglio 2018, dunque due anni dopo. Non solo, ma le notizie dell’inquinamento su Unichimica, tra l’altro per fatti assai modesti, sono state pubblicate nell’autunno 2018, quindi dopo l’attentato. Già queste macroscopiche incongruenze smontano il presunto movente”.
Ci sono altre contraddizioni?
“Non c’è prova accusatoria che non si sia trasformata in prova difensiva. Per esempio, Mercurio afferma che avrei incaricato suo zio Santino dell’agguato a Gervasutti per 25 mila euro, dietro il pagamento di una falsa fattura nel 2019, dieci mesi dopo l’attentato. Vi pare possibile che la ‘ndrangheta possa accettare un pagamento con la dilazione di dieci mesi? Tra l’altro, durante l’interrogatorio grazie alla perizia giurata dei commissari della Magnum srl, un whatsapp con il vecchio titolare della Magnum, Stefano Vinerbini, e uno stralcio audio di una registrazione è stata provata l’attendibilità di tale pagamento”.
Altre incongruenze?
“Assolutamente sì. Per avvalorare la veridicità del suo racconto, si pensi che Mercurio riferisce agli inquirenti che Gervasutti ha una figlia, mentre è noto che ha due figli maschi. Inoltre, tira in ballo il genero del giornalista, che per forza di cose non poteva avere. Ma c’è di più: io avrei organizzato assieme a Mercurio questo attentato in una villa di mia proprietà; ebbene questa villa fu da me acquistata, e il notaio mi consegnò le chiavi, dopo l’attentato!”
Lei firmò un contratto con un’azienda infiltrata da individui collusi con la ‘ndrangheta.
“Questo proprio no! Io continuai ad avere affari con un fornitore storico e fidato che conoscevo da anni che a mia insaputa venne infiltrato dalla ‘ndrangheta per problemi economici suoi. Io ebbi contezza con chi avevo a che fare solo dopo l’arresto di Mercurio all’inizio 2020”.
Riguardo alle intercettazioni telefoniche che cosa può dirci?
“Che anche queste prove mi scagionano. Infatti una parla di un’attività in Lombardia erroneamente scambiata come attività fatta in Toscana. Stravolgendo completamente il senso. Una seconda intercettazione palesemente non parla di me in quanto si riferisce a un ex parlamentare di Forza Italia conosciuto nel 2016 su internet. Insieme ai Pm ad ottobre abbiamo cristallizzato che Mercurio l’ho conosciuto il 21 maggio 2018 negli uffici della ditta Magnum a Verona, senza contare che non sono mai stato parlamentare di Forza Italia”.
Lei spesso fa riferimento alla “super prova”. Può dirci qualche cosa visto che finora avete mantenuto il riserbo?
“E’ la registrazione di cinque ore dell’incontro che ebbi con Mercurio. Da questa si comprende, ed è stata richiamata anche dai Pm nella richiesta di archiviazione, la mia completa estraneità da ogni accusa. Si capisce poi il motivo per cui Mercurio ha voluto inventare contro di me. Quello che fa rabbrividire è che emerge anche la filosofia del pentito Mercurio quando afferma che ‘uno può dichiarare quello che vuole quando è in queste situazioni, bisogna vedere se è vero oppure no’. Inoltre Mercurio mi confidò che ‘tutti dobbiamo temere anche per cose che non abbiamo fatto’. Ancora ‘la giustizia basta che entri in un coso loro perché ti indagano… e tu ti trovi coinvolto senza sapere’”.
Qual è l’insegnamento di questa vicenda?
“Che non bisogna mai mollare, perché quando mi capitò tra capo e collo questa tegola fu veramente dura. Ero appena arrivato in vacanza, come ho ricordato all’inizio, e mia moglie dovette nascondere quanto accadeva alle mie bambine che sono molto curiose, impedendo loro di guardare la televisione perché c’era il rischio che si imbattessero nei servizi televisivi che mostravano il loro papà. Impazzava il processo mediatico in televisione e sui giornali. Altro che vacanza, ero disperato, non potevo credere che qualcuno potesse credere che avessi ordinato un’intimidazione a un giornalista. Ero fuori dalla politica da dieci anni, quindi per quale motivo un simile attacco?”.
Che cosa fece quando ritornò in azienda?
“Per prima cosa convocai una riunione con tutti i dipendenti per rassicurarli e chiedendo loro fiducia. Loro sono stati splendidi, perché me la accordarono e mi espressero la loro solidarietà. Come me erano increduli, ma dovetti affrontare altri problemi. Ad esempio con Monica, mia moglie, decidemmo di spostare le bambine dalla scuola per l’autunno. La scelta ricadde su un altro istituto”.
Ci fu poi il problema delle banche…
“Sì, perché due istituti mi voltarono le spalle e dovetti far fronte agli impegni più immediati con finanza personale. Così decisi di vendere, rimettendoci, beni personali e aziendali per fare cassa, temendo quello che poi in parte avvenne, vale a dire che il voltafaccia bancario mi provocò un immediato danno milionario. A quel punto per non arrecare ulteriori danni alla Unichimica decisi di uscire dal Cda, lasciando tutte le cariche sociali, e cercando di comprendere che cosa sarebbe successo. Fatto sta che subii danni ingentissimi”.
Avvenne anche un fatto drammatico.
“Fu la diretta conseguenza del drammatico processo mediatico perché mio padre Carlo di 92 anni mentre leggeva un articolo che mi riguardava ebbe un ictus. Subì un attacco ischemico e rischiò la vita. Venne colpito al braccio sinistro da un attacco ischemico che gli paralizzò la parte sinistra del corpo impedendogli perfino di camminare. Insomma, una situazione davvero pesante. In sole tre settimane si era consumata la distruzione di una persona perbene, padre di famiglia e virtuoso imprenditore”.
Ci sono stati rovesci della medaglia paradossalmente positivi, sebbene la vicenda fosse per lei angosciante?
“Ogni medaglia ha il suo risvolto opposto e contrario, infatti ho avuto la riprova di quanto sia importante e monolitica la vicinanza di mia moglie. Così come quella di tutti i miei parenti, degli amici più cari, dei miei dipendenti, di qualche fornitore e cliente, e dei professionisti che mi sono stati vicini in frangenti davvero difficili”.
Potendo ritornare indietro c’è qualcosa che non rifarebbe?
Tenuto conto che non ero a conoscenza dell’infiltrazione mafiosa nella società veronese fornitrice con cui lavoravo, e nemmeno che Domenico Mercurio appartenesse alla criminalità organizzata, ‘ndrangheta, avrei dovuto essere più attento. Tornando indietro avrei dovuto avere meno timori denunciando chi, dopo la cattura di Mercurio, venne a minacciarmi per estorcere denaro. Fu un errore”.


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