Carlotta Bolognini: “La mia vita sul set per raccontare una storia di famiglia”
Carlotta Bolognini, produttrice, si racconta tra aneddoti di famiglia sul set e una vita dedicata al cinema. Oggi con nuovi progetti per tenere viva la memoria del padre Manolo Bolognini e dello zio Mauro Bolognini.
Di Veronica Benedetta Marino.
Carlotta Bolognini, un cognome che conduce i nostri ricordi al grande cinema italiano. Ma cosa significa indossarlo oggi? Ce lo racconta lei, tra ricordi di casa e nuovi progetti. Figlia e nipote d’arte, porta avanti il mestiere di famiglia. Attrice e produttrice, lo zio, Mauro Bolognini è stato un grande regista e sceneggiatore, insignito dei più grandi riconoscimenti nel cinema, mentre il padre, Manolo, un grande produttore. Oggi si racconta a L’identità.
Carlotta, portare il cognome Bolognini è più una benedizione o una sfida?
Una benedizione, perché ho avuto una famiglia generosa e piena di valori che ha dispensato amore non soltanto a noi ma anche agli amici e ai colleghi di lavoro. Ma anche un impegno costante. Ai figli d’arte non è consentito sbagliare. Per questo scelgo di fare poche cose, con dignità e rispetto, sperando di farle bene.
Pranzo di famiglia a casa Bolognini: cosa si diceva intorno al tavolo?
Il pranzo della domenica era un rito, fino a quando papà è stato con noi. Le pietanze profumavano di cinema e di aneddoti divertenti. Ricordo quando gli dicevo: “Ti ricordi quel film in America?” E lui, ironico: “Ah, perché c’eri anche tu?”.
Con le nuove piattaforme, tipo Netflix, è davvero finito il fascino del grande schermo?
Le guardo anche io, offrono opportunità per scoprire film e serie provenienti da tutto il mondo. Ma l’incanto della sala resta unico: Il buio, l’attesa, i rumori di sottofondo, concorrono a creare quella magia impalpabile che solo il Cinema può regalare.
Tra tutti i tuoi progetti, quale definiresti “il più Bolognini” e quale invece “il più Carlotta”.
Tutti miei lavori sono “Bolognini” nel modus operandi: conservo il modo di lavorare di un tempo. Sul set non mi limito a un ruolo, ma sostituisco qualsiasi figura. Mentre quello “più Carlotta” è l’ultimo, il docufilm, “Compagni d’Arte”.
Dicci di più.
È un omaggio alla straordinaria generazione di cinque cineasti degli anni ’30, diretto insieme a Fabio Luigi Lionello. Racconta la passione comune per il cinema e l’amicizia, tra mio padre, mio zio, Franco Zeffirelli, Anna Allegri e Piero Tosi, nata a Pistoia e proseguita tra Firenze e Roma, durante il Fascismo.
Al Festival Mauro Bolognini c’è stata l’anteprima di “Compagni d’Arte”. Come l’hai vissuta?
Un’emozione indescrivibile: sold out e cinque minuti di applausi. Mi sono sciolta in lacrime. Dopo 8 anni di lavoro, il mio progetto ha visto la luce. Devo tutto a un gruppo straordinario. Come mi hanno insegnati i miei, il cinema è un lavoro di squadra.
Il tuo miglior aneddoto da set.
A cinque anni ero immersa nella scenografia del villaggio western del film Django. Chiesi a mio padre di farmi lavorare. Mi fece sedere, con un blocchetto e una penna in mano, vicino a Patrizia Zulini, assistente di edizione, invitandomi a rimanere in silenzio e a segnare gli errori degli attori, anche se non sapevo scrivere. Alla fine della settimana chiesi a mio padre la paga, e lui, divertito, mi diede 5000 lire. Una cifra enorme!
Budget illimitato e carta bianca, che tipo di film realizzi domani?
Non ho dubbi, un film in costume.
Produci il tuo docufilm. Cosa conosceremmo di Carlotta?
Metterei in scena i valori che mi ha trasmesso la mia famiglia e l’amore che mi hanno donato tutte le persone che hanno costellato il cielo della mia vita. Scoprireste che ho subito molti lutti e a distanza di poco tempo, compresa la scomparsa del mio compagno. Ma non mi arrendo. Devo portare avanti il nome Bolognini. E soprattutto non potrei mai deludere il mio amore che, dopo un momento difficile, mi aveva rimessa in carreggiata, restituendomi la cosa più preziosa, Carlotta Bolognini. E questo è stato il suo regalo più bello.
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