Ambiente

Campi Flegrei: a Napoli la terra che dorme in ansia sul suo vulcano

di Angelo Vitale -


Campi Flegrei, dove si dorme sul vulcano. Due giorni fa un terremoto di magnitudo 3.8. Più forte delle migliaia di scosse annuali nell’area dove le preoccupazioni degli abitanti sono cominciate fin dalla nascita, 30/40mila anni fa, della zona nel Golfo di Pozzuoli a ovest di Napoli. Una caldera che dorme. Un posto ove si è imparato a convivere con il bradisismo, il movimento di innalzamento e di discesa del suolo che dagli anni ’70 del secolo scorso ha vissuto fasi decise. Quella attuale, una lunga estate: 880 “terremoti” a giugno, fino a luglio con un più intenso sciame sismico, incontri, assemblee. Cosa è accaduto, cosa può accadere, quali sono i rischi: le ricorrenti domande da 48 ore. “Il vulcano ha la sua inarrestabile naturale evoluzione e, prima o poi, tornerà a eruttare”: così il 24 agosto l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che a Napoli monitora ogni giorno con l’Osservatorio Vesuviano i Campi Flegrei. Un’ovvia considerazione, considerata l’imprevedibilità di un fenomeno da studiare nei suoi segnali quotidiani per valutarne l’evoluzione. Campi Flegrei e zona vesuviana sono da tempo in allerta gialla, di attenzione, che gli esperti sanno deve essere essenzialmente scientifica.

Giuseppe Luongo è un super esperto. Vulcanologo di fama internazionale, è stato direttore dell’Osservatorio Vesuviano e da anni si dedica ad una ricerca scientifica lontano dai centri istituzionali. Per lui, giovedì il terremoto è stato causato da “energie che hanno raggiunto il livello del 4 ottobre 1983, liberate nella zona più periferica della parte centrale della caldera, che può evidenziare fenomeni come questi, meno frequenti ma a più alta energia. Fatti sui quali riflettere e da mettere a comparazione con tutti i segnali precedenti. Da considerare specialmente per quanto arrecano all’edilizia della zona, già provata dal bradisismo”.

Giovanni Macedonio è un geofisico ed è stato direttore del’Osservatorio Vesuviano fino al 2007. Ancora oggi, con l’Ingv, è ogni giorno impegnato sui dati che rimandano i sismografi: “Gli sciami sono arrivati – dice – a segnalare fino a 16mila scosse, mille solo nel mese scorso”. Una terra con la febbre. Dal 1982 al 1984 molti abitanti dell’area, soprattutto quelli del centro storico di Pozzuoli, furono costretti ad abbandonare le proprie case, erano allora circa 40mila. Un’evacuazione forzata che fu un’esercitazione sul campo dell’emergenza, la prova di quanto potrebbe accadere se il fenomeno dovesse accelerarsi o dovesse, al peggio, scoppiare un’eruzione. Solo allora scatterebbe l’allontanamento forzato dei residenti dalle loro abitazioni, deciso dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dalla Commissione Grandi rischi. Dal 2005 a oggi è infatti di nuovo in atto un lento sollevamento del suolo che nel luglio scorso ha raggiunto circa 111 centimetri nell’area del Rione Terra.

Ciò che Macedonio punta a precisare, è però che questa escalation è quotidianamente monitorata e che lo studio svolto finora consentirà di poter comprendere quando sarà urgente passare all’allerta rossa. Per ora, i Campi Flegrei evidenziano fino a 3 km sotto terra solo un sistema idrotermale in movimento, non un magma in salita. Molto più facile qui dove “si dorme sul vulcano” – par di capire – poter dare l’allarme rispetto ad aree ad alto rischio sismico dell’Italia ove i terremoti sono stati repentini, portando a numerosi morti e allo stravolgimento del territorio.

Il Centro Studi Plinius è una struttura del Centro Interdipartimentale di Ricerca Lupt dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Dal 2006 è Centro di Competenza nazionale sul rischio vulcanico per la Protezione Civile. Lo coordina Giulio Zuccaro, ordinario di Scienza delle costruzioni. “Nel corso degli anni – questo il suo racconto sul possibile rischio per l’edilizia – abbiamo raccolto 4mila schede di vulnerabilità che fotografano le tipologie strutturali degli edifici, più di un quarto dei 15mila di Pozzuoli. Ci hanno condotto a modelli sui danni attesi che condividiamo con la Protezione civile e con il Comune di Pozzuoli. Per la mia esperienza, ribadisco quanto dissi il 2 luglio scorso agli abitanti di Pozzuoli. A memoria d’uomo non c’è notizia di crolli di edifici per il bradisismo. La parola d’ordine, in questi casi, è resilienza. Ogni cittadino è il primo operatore di protezione civile sul posto e può e deve verificare nella propria abitazione ogni minimo segnale di lesione o danneggiamento. Quella che ho di fronte è una Pozzuoli migliore di quella evacuata 40 anni fa: vi si è lavorato per rafforzare e consolidare gli edifici, più del 50% di essi sono oggi in cemento armato. E si deve lavorare tutti insieme per costruire su questi temi una collettività attenta, informata e partecipativa. La questione, come spesso accade, è culturale”.

Un lavoro che non si ferma, quello di Plinius: “Abbiamo avviato con la Protezione civile, in comunità d’intenti per un focus che punti a individuare le necessità più rilevanti, un progetto per una rete di “edifici sentinella”, dotati di sensori a tecnologia Mems, già da 6 mesi operativi in una scuola ove ogni giorno impariamo a leggerne i dati sul campo. Quando saranno validati, serviranno per variazioni di risposta per interventi mirati negli edifici in cemento armato o a muratura forte o debole”.


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