Cronaca

Calipari e il Cermis: ecco perché i militari Usa non hanno pagato

di Ivano Tolettini -


Si chiama “difetto di giurisdizione”. Al di là del tecnicismo, è lo schermo giuridico previsto dalla Convenzione di Londra del 1951 che consente ai militari Nato di essere giudicati nei loro Paesi d’origini qualora si macchino di reati penali in servizio. Questo accordo tra Stati ha consentito al pilota del jet americano responsabile della tragedia del Cermis il 3 febbraio 1998, quando tranciando i cavi della funivia di Cavalese causò il distacco di una cabina con 20 sciatori a bordo che morirono sfracellati; e al soldato statunitense Mario Lozano, che il 4 marzo di vent’anni fa al ceck-point dell’aeroporto di Bagdad sparò contro l’automobile – forse la riteneva fosse guidata da un terrorista? – su cui si trovavano la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena e l’agente del Sismi Nicola Calipari (nella foto) che aveva appena contribuito alla liberazione dell’inviata, ammazzando lo 007 italiano, di non essere perseguiti. Martedì all’auditorium Parco della Musica di Roma all’anteprima de «Il Nibbio», da oggi nelle sale cinematografiche, con protagonista Claudio Santamaria nei panni di Calipari e con Sonia Bergamasco e Anna Ferzetti, rispettivamente nei ruoli di Sgrena e di Rosa Calipari, ha partecipato anche la premier Meloni. Le più alte cariche dello Stato, a partire dal presidente Mattarella, hanno reso omaggio alla memoria del servitore della Repubblica che fece scudo con il suo corpo all’inviata Sgrena, che così si salvò. “Rendiamo onore al sacrificio di un valoroso dirigente del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare – afferma Mattarella -, che ha perso la vita in una difficile missione a Baghdad, conclusa con il salvataggio dell’italiana rapita”. Sgrena era stata sequestrata un mese prima da una cellula jihadista. In un’intervista ribadisce che la morte di Calipari è “uno dei misteri di questo Paese, una storia senza verità della quale si parla troppo poco. Un caso irrisolto per il quale nessuno ha chiesto giustizia”. L’inviata di guerra aggiunge che “non abbiamo mai saputo perché gli americani abbiano sparato al numero due dei servizi segreti italiani. La Cassazione ha definitivamente stabilito il difetto di giurisdizione, sicuramente il marine Mario Lozano ha aperto il fuoco, ma non è stato l’unico responsabile della tragedia”. Uno dei sospetti è che Calipari durante le trattative che avevano portato al rilascio della giornalista avesse scoperto retroscena inquietanti nell’organizzazione dei sequestri e nella richiesta dei riscatti, forse addirittura con complicità italiane. Il gesto di Calipari di abbracciare Sgrena e di salvarle così la vita fu eroico, ma a distanza di vent’anni restano intatti gli interrogativi irrisolti. La vedova Rosa Villecco domenica a “Che tempo che fa”, rispondendo alle domande di Fabio Fazio sottolinea che “la lucidità della reazione e arrivata qualche mese dopo, quando ho pensato che per Nicola avrei dovuto chiedere verità e giustizia, ho pensato che Nicola meritasse una battaglia. Ma avevo di fronte gli Stati Uniti e mi dicevano, «vuoi fare la guerra agli Stati Uniti?». No, io volevo capire. Nicola era una persona prudente e attenta, non era la prima negoziazione che conduceva, la prima persona che liberava, non aveva cattivi rapporti con gli Stati Uniti”. Giuliana Sgrena dice che “la morte di Calipari è un mistero di cui si parla troppo poco. Lo avevo conosciuto da una ventina di minuti e subito mi fece sentire che era una persona di cui mi potevo fidare. Si è buttato sopra di me per evitarmi la raffica dei colpi di mitra, ed è morto mentre era appoggiato sopra al mio corpo. Non potrò mai dimenticarlo. Oltre alla mia riconoscenza, c’è anche la sensazione terribile che io mi porto dentro”. Calipari era un punto di riferimento per quei servitori dello Stato, spiega Vittorio Rizzi, a capo del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Repubblica, che “come me avevano il privilegio di lavorarci assieme”. Di certo per la drammatica fine di Calipari, come per le 20 vittime del Cermis, la giustizia non ha potuto fare il suo corso a causa dello schermo giuridico di cui parla la Suprema Corte e che protegge i responsabili.


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