Caffaro, è disastro ambientale “Le responsabilità di Todisco”. Le carte del processo
Le carte processuali ridisegnano il disastro ambientale della Caffaro Brescia, a partire dal 2011, nel cuore della Leonessa d’Italia. I documenti di cui L’identità è in possesso parlano di un’operazione industriale spregiudicata perché svolta infischiandosene in modo consapevole della tutela dell’ambiente, nonostante gli impegni assunti al momento di rilevare il ramo d’azienda della Caffaro, primario stabilimento della chimica di base italiana.
anto più che quando l’imprenditore toscano Antonio Donato Todisco si siede al tavolo con il commissario straordinario della Caffaro Chimica srl in liquidazione, Marco Cappelletto, imputato pure lui ma per fatti meno gravi, pattuisce un prezzo contenuto di 200 mila euro per gestire i reparti produttivi del complesso aziendale di Brescia, che aveva un potenziale di ricavi all’epoca di 10-11 milioni di euro e che fin da subito macinò utili. Anche perché la società costituita da Todisco (New Co Brescia spa, diventata Caffaro Brescia srl nel novembre 2014) subentrava come locataria pagando un affitto di 30 mila euro annui per la durata di sei, anche come comodataria di impianti elettrici. Ecco perché si è trattato di una condotta criminale – secondo la procura della Repubblica di Brescia -, quella operata da Donato Todisco, che ha aggravato il quadro dell’inquinamento ed ha indotto il procuratore capo di Brescia, Francesco Prete, a commentare nel febbraio 2021, al momento del sequestro preventivo dell’azienda, che “Caffaro è un carcinoma nel centro della città”.
A quel tempo, però, Todisco aveva già traslocato a Bussi sul Tirino dal 2016 l’attività del cloro-soda rilevandola dalla Solvay perché nei fatti dal 2019 la produzione della Caffaro Brescia si era fermata in assenza dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) della provincia. E a Bussi sul Tirino la “Società Chimica Bussi” controllata da Todisco tramite Gestioni Industriali spa ottenne finanziamenti pubblici per 15 milioni di euro da Invitalia, in parte a fondo perduto. A leggere il gip Alessandra Sabbatucci si trattò nei fatti di una delocalizzazione. “La prosecuzione dell’attività gestoria da parte degli esponenti della Caffaro Brescia – scrive il giudice – in assenza di segni di ravvedimento non può che portare alla reiterazione sine die delle condotte delittuose, con conseguenze sempre più dannose per l’ambiente”. Gli imputati respingono con forza le accuse.
Questo comportamento illecito, per il giudice, “risulta dimostrato non solo in capo agli indagati Quadrelli e Francesconi, formali referenti della Caffaro Brescia srl, ma anche in capo allo stesso Todisco, risultato essere l’amministratore di fatto del sito”. Dunque, con il deposito degli atti si delineano le presunte responsabilità oltre che di Todisco, 67 anni, pisano di San Giuliano Terme, anche dei suoi manager Alessandro Quadrelli, 71 anni, di Pietrasanta – quest’ultimo dal 2016 l’ad di Caffaro Brescia – e Alessandro Francesconi, 63 anni, di Brescia, che il prossimo 26 settembre compariranno davanti al gup per la prosecuzione dell’udienza preliminare assieme ad altri sette imputati.
La figura principale, quella del “regista” com’è individuato dai magistrati, è di Todisco, che con i presunti complici deve rispondere oltre che di disastro ambientale (la pena edittale è da 5 a 15 anni di reclusione), anche di inquinamento ambientale e di una serie di contravvenzioni. Todisco per il gip è stato “il regista operativo dello svolgimento dell’attività dell’impianto bresciano e del trasferimento dell’intera attività a Pescara (Bussi sul Tirino, ndr) per allontanarsi dalle problematiche ambientali del sito di interesse nazionale (S.I.N.) e mantenere la continuità aziendale”. E Lo Stato avrebbe in parte finanziato tutto questo. Non per nulla il giudice afferma che i tre indagati hanno “la consapevolezza di stare operando al di fuori della legalità, ma anche la volontà di continuare ad operare in tale senso”. Da ricordare che l’udienza preliminare iniziata a novembre scorso è stata rinviata per consentire agli imputati di mettere a punto una barriera idraulica che protegga effettivamente la falda dall’inquinamento.
Il tribunale parla di una condotta “gravemente dolosa” da parte di Todisco e i suoi manager sull’altare del profitto, “l’aperta indifferenza manifestata da costoro rispetto al progressivo aggravarsi del disastro ambientale a causa della loro mala gestio” a tal punto da prefiggersi l’obiettivo di far dichiarare “illegale” l’obbligo di “implementare l’efficienza del Mise nei contratti” sottoscritto nei contratti nel 2011 per l’ottenimento dell’A.I.A. Ma questa è un’altra storia.
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