Bruckner il sinfonico della rivoluzione
Bruckner il sinfonico della rivoluzione – di RICCARDO LENZI
La lunga attesa dei melomani è stata premiata con l’arrivo del cofanetto dedicato alle undici sinfonie, le fatidiche nove più due “di studio”, di Anton Bruckner dirette da Christian Thielemann (in undici cd Sony). L’edizione raccoglie alcune registrazioni presentate al Festival di Salisburgo e ha un piccolo record: è la prima completa delle sinfonie del compositore austriaco da parte della Filarmonica di Vienna sotto un unico direttore e costituisce con ciò un ricco prologo al duecentesimo anniversario della nascita del compositore, che avverrà nel 2024. Il livello delle esecuzioni è complessivamente medio-alto in tutte le sinfonie: magari in alcune di esse rimpiangiamo gli abbandoni edonistici di Karajan, le accensioni ritmiche di Jochum, la monumentalità di Klemperer, le pause e i silenzi meditativi di Celibidache, ma nel complesso è una delle migliori integrali del mercato discografico. A dimostrazione di ciò basterebbe ascoltare l’attacco della Settima sinfonia (quella che fece da colonna sonora al film “Senso” di Luchino Visconti), con quel tema aperto su un orizzonte immenso che poi ripiega e risale, terminando in “calando”; o nell’Ottava la resa sonora della tragica desolazione dell’Adagio e la funebre visione che appare nella coda del primo movimento, in cui il battito vitale dell’orchestra si spegne implacabilmente, dissolvendosi nel Nulla sonoro. E nella Nona (che l’autore dedicò significativamente “al buon Dio”) il sapiente tremolo degli archi introducente il primo tema, che cresce fino a espandersi e affermarsi in un nibelungico e perentorio squillo dei corni.
È facile spiegare perché non sono casuali questi esiti notevoli, la Filarmonica di Vienna condivide un legame speciale con Bruckner: ha eseguito in anteprima quattro delle sue sinfonie e da allora intrattiene un rapporto unico con le sue partiture. Certo è pure che questa ennesima integrale potrebbe stupire, perché Bruckner scrisse musica non certo popolare come quella di un Verdi o un Ciaikovskij. E tale non lo diverrà mai, non possedendo egli la “facilità”, la comunicativa, il fascino melodico di chi ha saputo conquistare le platee. Eppure, nonostante ciò, sono migliaia i cd, i dvd, i concerti che hanno per protagoniste le sue composizioni, come immancabilmente riconfermerà il prossimo anniversario. In Italia c’è persino un’Associazione italiana Anton Bruckner, fondata a Genova nel 1956, aderente alla International Bruckner-Gesellschaft di Vienna che furoreggia on line. Cosa spiega questa diffusione?
Perché all’apparenza il successo di Bruckner costituisce un non senso: visse in un’epoca, la fine dell’Ottocento, in cui si andava a poco a poco liquidando il sinfonismo classico-romantico. Uno dei colpi mortali a quel mondo fu dato da un suo polemico collega, Johannes Brahms, che infettò quell’universo simbolico con le sue moderne e liriche malinconie. Pure uno dei suoi principali ispiratori, Richard Wagner al quale dedicò la Terza sinfonia, ne minò l’esistenza, trasferendo il sinfonismo al servizio del dramma teatrale, dissolvendone le forme specifiche. E Mahler quelle stesse forme portò all’ipertrofia, fino a farle deflagrare, suscitando nei frammenti che ne derivano, carichi di contradditorie energie, le monadi che influenzarono l’Espressionismo. Eppure, pensandoci bene, Bruckner occupa nella nostra epoca moderna un ruolo ben preciso; rappresenta, assurgendo a grumo di significato vivente, un vero e proprio “segno di contraddizione” contro il decadimento culturale, storico e religioso che ha travolto la società occidentale e cristiana, a partire dalla sua morte avventuta nel 1896. E lo fa in modo irresistibile attraverso le sue possenti costruzioni musicali: le sue sinfonie e le sue messe sono, come due grandi direttori che ne sono stati insigni interpreti, Wilhelm Furtwängler ed Herbert von Karajan, hanno affermato: “grandi momenti orchestrali di preghiera”, immense artifici architettonici, cattedrali sonore che puntano verso il cielo.
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