Economia

Obiettivo dedollarizzazione: il Brics sfida lo Swift

di Giovanni Vasso -


Al Brics si è parlato per lo più di Swift. Ma quello di Kazan non è stato né sarà un raduno di fan di Taylor, nostra signora del pop che pur smuoverebbe il Pil delle città toccate dalla grazia di ospitare i suoi concerti. I leader di Russia, padrona di casa, Cina, India, Brasile e Sudafrica hanno ben altro per la testa. Pensano, infatti, a portare il colpo al cuore del sistema su cui si reggerebbe, secondo la loro visione delle cose, la primazia dell’Occidente sul mondo. Lo Swift, appunto. Il sistema di pagamenti internazionali riconosciuto da 215 Paesi che passa attraverso ben 10.500 banche e che è diventato, nel corso degli ultimi anni, l’arma più potente in mano alle cancellerie occidentali. Tanto forte che, secondo quanto riportano i soliti addetti ai lavori e rilanciano oggi ancora sedevacantisti et similia, bastò solo innescare lo stop per convincere il riottoso papa Benedetto XVI a rassegnare quelle inedite dimissioni che fecero epoca.
Ma questa, chiaramente, è tutt’altra storia. Mosca, Pechino e i suoi sodali (tra cui l’India, il cui ruolo è centrale e non solo per lo sviluppo economico del Paese) hanno intenzione di creare una piattaforma capace di non lasciare interi Stati e nazioni al verde in caso di conflitti con l’Occidente. E, soprattutto, di scardinarne il primato economico. Già, perché l’obiettivo è quello di mettere in pratica il progetto di Brics Pay, “un possibile sistema di pagamenti tra nazioni sovrane e prospere”, come si legge in rete a proposito della piattaforma che punta a impensierire lo Swift. Si baserebbe su una combinazione di codici Qr come metodo di connessione standard per armonizzare i sistemi di pagamento e l’obiettivo di “integrare i diversi sistemi nazionali e fornire un portafoglio online accessibile da applicazioni su telefonini in modo da consentire agli utenti di effettuare pagamenti nelle loro valute nazionali usando gli smartphone”. Ma non è tutto, il ministro russo alle Finanze Anton Situanov l’ha presentata come “una nuova infrastruttura per i pagamenti attraverso le frontiere basata su tecnologie di ultima generazione che consentirà transazioni in valute straniere più veloci e a costi inferiori priva di interferenze esterne”. Ma il busillis, il cuore centrale della vicenda, è ancora un altro. Già, perché Brics Pay potrebbe essere solo uno strumento, ulteriore, per raggiungere un obiettivo ambiziosissimo di cui s’è parlato già molto negli ultimi mesi. Ossia quello di scalzare il dollaro dal ruolo attuale di moneta internazionale di riserva. Rifilando, così, uno sganassone importante al sistema economico e finanziario degli Usa. Si parlerebbe, infatti di mettere in piedi un sistema nuovo che potrebbe poggiarsi sulle materie prime e che punterebbe all’introduzione di una moneta comune. Che, a sua volta, sarebbe garantita per il 40% dall’oro detenuto dai Paesi che accetterebbero l’utilizzo della nuova valuta, mentre il resto sarebbe rappresentato dalle monete nazionali dei singoli Stati. Una proposta, questa, che azzererebbe le differenze (almeno formalmente) tra i sottoscrittori della nuova moneta e porrebbe gli Stati Uniti, da sempre (giustamente) gelosi del ruolo internazionale del dollaro, in seria difficoltà.
La dedollarizzazione, oltre al superamento dello Swift, resta in fondo l’obiettivo strategico dei Brics. Ma ogni Paese ha le sue ambizioni e speranze. La Cina su tutti. Non è un mistero che Pechino puntasse a fare dello yuan la valuta internazionale di riserva in grado di rivaleggiare col dollaro. E non lo è nemmeno il fatto che da queste ambizioni cinesi s’è riacutizzato il conflitto (per ora solo economico e commerciale) con Washington. La Russia, da parte sua, ha bisogno di uscire dall’angolo in cui le sanzioni occidentali l’hanno portata. A questo punto il ruolo dell’India, un autentico gigante che si sta risvegliando in questi anni, diventa cruciale. Narendra Modi non è poi così amico della Cina, non più di quanto lo sia con l’Occidente che invece, negli ultimi anni, lo ha blandito e corteggiato (ricordate il progetto della “via del cotone” per sostituire la “via della Seta”?). E poi c’è l’immenso (e potenzialmente ricchissimo) Brasile di Lula oltre al Sudafrica che, però, vive una fase di profonda crisi politica e di leadership. Le new entry che compongono il Brics+, Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati con l’Arabia Saudita sull’uscio. In tutto si tratta di Paesi che rappresentano 3,5 miliardi di persone pari al 45 per cento dell’intera popolazione mondiale oltre al 26% del Pil globale. E se decidono di giocare per sé, superando gli steccati che le dividono, per l’Occidente diventa un problema serio.


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