Brescia dei fuochi: le intercettazioni del caso Caffaro “Qualcosa di illegale”
“Spesso lavoriamo non nella norma”. Lo dice l’ad Alessandro Quadrelli al suo manager Alessandro Frasncesconi. Quello della Caffaro Brescia è la storia in una terra dei veleni, incistita in uno dei simboli dell’industrializzazione come la Leonessa d’Italia, violentata dal gravissimo inquinamento da cromo esavalente della falda aggravato dal 2011 a causa “della natura pervicace descritta nei capi d’accusa; della matrice gravemente dolosa serbata da Todisco, Quadrelli e Francesconi e dell’aperta indifferenza manifestata da costoro al progressivo aggravarsi del disastro ambientale per la loro mala gestio”. Lo scrive nel 2021 il gip Alessandra Sabatucci quando ordina il sequestro dell’azienda, sigilla per la bonifica 7 milioni di euro nei conti dell’azienda voluta dall’imprenditore Antonio Donato Todisco, colui che dal tribunale è definito il “regista” di un’operazione sofisticata per scalare i vertici della chimica di base, dove lo issano le acquisizioni a prezzi da svendita oltre che della Caffaro, della Chimica Bussi nel 2016 dalla Solvay e nel 2021 della Chimica Assemini dall’Eni. Per Todisco e i due dirigenti la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per disastro ambientale, inquinamento, deposito incontrollato di rifiuti e falso in bilancio.
Caso Caffaro: la scalata della chimica
Per quale motivo il 67enne Todisco, che protesta la propria innocenza, e lo fa con i manager, e che rischia fino a 15 anni di carcere, decide di rilevare “scientemente e volontariamente” il 7 marzo 2011 dal commissario straordinario di Snia spa, l’avvocato veneziano Marco Cappelletto (pure lui imputato, ma per fatti ambientali di minore gravità) per soli 380 mila euro da pagare in sei anni, uno degli storici stabilimenti per la produzione del clorito e del cloro-soda, assieme all’altro strategico impianto di Torviscosa in Friuli, quest’ultimo con il socio Bertolini, società insolventi dal 2009, con l’obbligo di contenere e non aggravare il “progresso disastro”? Fino ad allora, come si legge nel sito del Gruppo Todisco, la società di Pisa era “puramente commerciale” fino a quando “partecipa a un tender internazionale promosso dal ministero per lo Sviluppo Economico per rilevare l’attività”. Il quadro ambientale è gravemente compromesso. Il Tar di Brescia in quello stesso 2011 descrive l’inquinamento di via Nullo, di cui devono rispondere prima di quell’anno Snia e Sorin (ora Livanova) “di spaventose e impressionanti proporzioni”. Nel 2019 la Corte d’Appello civile di Milano per il “Sito di interesse nazionale (Sin)” parla di situazione “drammatica” e “sconcertante”. Per Todisco è comunque un’opportunità perché i fatturati milionari in breve salgono, anche se le clausole contrattuali l’obbligherebbero a mettere in sicurezza l’area. “A partire dal marzo 2011 l’operatività della “messa in sicurezza d’emergenza” (Mise) avrebbe dovuto essere garantita dalla Caffaro Brescia srl – scrive il gip -, la quale, nel subentrare alla Caffaro Chimica srl nella gestione degli impianti produttivi, ha assunto per contratto l’obbligo di pompaggio della falda nonché quello di garantirne l’efficienza e l’efficacia”. Questi obblighi non vengono “correttamente adempiuti” – dunque negli anni si risparmiano soldi da destinare a utili – dalla società amministrata legalmente e di fatto da Todisco dal 2011. Così i pm mettono a fuoco, analizza il giudice, “tre fenomeni d’inquinamento tra di loro interconnessi e direttamente riferibili all’attività produttiva” della Caffaro Brescial. Si tratta dell’inquinamento del suolo da cromo esavalente, dovuto soprattutto alla “presenza di serbatoi e cisterne disperdenti nelle aree A e B del reparto “clorato”; di quello del reticolo di acque superficiali a valle della Caffaro da prodotti inquinanti tra cui Pcb e l’inquinamento dell’acqua di falda con propagazione dell’inquinamento oltre il perimetro del Sin.
Brescia dei fuochi. Caffaro: le intercettazioni
Quando il gip firma l’interdizione dall’attività di amministratore per Todisco, Alessandro Quadrelli e Alessandro Francesconi, sottolinea che gli indagati “ben consapevoli di implementare l’efficienza del Mise nei contratti più volte richiamati e per l’ottenimento dell’autorizzazione integrata ambientale” durante alcune conversazioni telefoniche mirano a far dichiarare “illegale” quell’obbligo contrattuale. Dice Quadrelli a Francesconi: “Se si riuscisse ad ammettere che il ministero dello Sviluppo economico, che ha autorizzato la firma di quel contratto, Cappelletto che l’ha firmato, ci hanno venduto qualcosa che era illegale, quello potrebbe essere un motivo di interruzione del contratto e di far sì che possiamo sospendere l’emungimento, hai capito?”. Quindi lo stesso Quadrelli ammette che “siccome molto spesso lavoriamo non nella norma, perché la norma ultimamente non l’abbiamo, lavoriamo sempre sotto la soglia di sicurezza”, per il gip è l’assenza di “qualsivoglia resipiscenza” circa la soluzione delle problematiche ambientali. Quanto a Todisco, “regista operativo dello svolgimento di attività dell’impianto bresciano e del trasferimento dell’intera attività a Pescara per allontanarsi dalla problematiche ambientali”, ribadisce il gip, che conversando con il suo manager Domenico Greco riguardo “all’apertura dello stabilimento di Bussi e la contestuale chiusura di Brescia vista come una strategia difensiva nei problemi giudiziari per lo smaltimento dei trasformatori Pcb”, afferma: “Quando invece abbiamo cominciato a trattare con Bussi, quindi 8 mesi prima, e sono state determinante ai fini del…della questione diciamo”. Greco interviene: “Della difesa”. Quindi Todisco insiste:” eee…molto importanti questi, e devo dimostrare che io non ho fatto altro che pensare a portare via quell’impianto lì e di portare via i trasformatori”. La consapevolezza, per il gip, che Todisco e i presunti complici “di stare operando al di fuori della legalità”. Per far scalare i vertici della chimica di base a un gruppo che oggi fattura 600 milioni.
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