Attualità

IL CARRELLO DELLA SPESA – Non ci restano che le vongole…fujute

di Giovanni Vasso -


Il Paese delle vongole…fujute. La leggenda narra che fu Eduardo De Filippo a inventare la ricetta, preso dai morsi della fame dopo essere tornato a casa da uno spettacolo ai tempi della gloriosa compagnia coi fratelli Peppino e Titina. Gli spaghetti alle vongole fujute, fuggite via, perché, nonostante l’illusione giocata da aglio e prezzemolo, nel piatto, di molluschi non ce n’erano proprio. Una ricetta della tradizione popolare che torna prepotentemente d’attualità dal momento che, adesso, di vongole non se ne trovano granché dal momento che se l’è mangiate tutte (o quasi…) il granchio blu. Ed è stato (anche) per questo che a Natale, quando è tradizione farne scorpacciata per il cenone di magro alla Vigilia, hanno raggiunto prezzi a dir poco astronomici. Le vongole veraci, stando alle stime di Borsa Merci Telematica italiana, avevano raggiunto la quotazione di 18 euro al chilo. Prezzi che, a febbraio, sono scesi. Ma giusto un po’. A distanza di un paio di mesi, il costo delle veraci è passato a 16,5 euro al chilo. Una flessione che, secondo gli analisti di Bmti, è dovuta al vecchio gioco dell’incrocio tra domanda e offerta. È la vecchia legge della microeconomia: quando il prezzo di un bene sale troppo, la domanda scende e l’offerta tenta di adeguarsi per non soccombere. Però quello che non è cambiato, da qualche anno a questa parte, è il fatto che di vongole non se ne trovino chissà quante. Perché è arrivato il granchio blu e tutto è cambiato. In peggio, purtroppo. Secondo una recente stima di Confcooperative, la produzione di vongole veraci nel Delta del Po è calata addirittura del 70%. Tutto a opera di una specie “simbolo” dello spreco: il granchio blu, difatti, porta in tasca ai pescatori solo 1,50 euro al chilo, se ne utilizza, in cucina, appena il 15% (in pratica la sola polpa) e gli esemplari femmina e i piccoli non sono utilizzabili. Insomma, una triplice beffa per gli italiani. E, soprattutto, per il settore ittico. Un’emergenza che, invece di attenuarsi, sembra addirittura peggiorare. I dati della Regione Veneto parlano chiaro: nel 2023 erano state recuperate 993 tonnellate di granchio blu. Di queste, 428 erano state immesse in commercio nei sei mercati ittici regionali e altre 565 provenienti dalle lagune di Porto Tolle erano state eliminate come non commerciabili. Nel 2024 le quantità sono aumentate in maniera considerevole passando a un totale di 1.180 tonnellate di granchio blu destinato allo smaltimento a cui aggiungerne altre 714 di prodotti venduti sui mercati locali. La proliferazione di questa specie aliena sembra non conoscere ostacoli né rallentamenti. Ed è per queste ragioni che la Regione Veneto ha approvato, nelle scorse settimane, una nuova declaratoria di calamità naturale affidando un nuovo monitoraggio della situazione a una sorta di joint venture composta da Arpav, Veneto Agricoltura, Università di Padova e Università Cà Foscari di Venezia. La grande paura è che la venericoltura, ossia gli ecosistemi di allevamento delle vongole e dei molluschi in generale, possano addirittura scomparire. Ed è un lusso, questo, che nessuno si può permettere. Copagri ha quantificato i danni al settore in circa 100 milioni e ha ricordato che, per colpa dei danni causati dal granchio blu, hanno dovuto già chiudere i battenti diverse attività. Perciò la richiesta al governo e alle istituzioni rimane sempre la stessa: far presto con i piani di contenimento che, a partire da Veneto ed Emilia Romagna, allo stato attuale le zone maggiormente interessate, vanno estesi a tutto il territorio nazionale. Altrimenti dovremo rassegnarci a fare come Eduardo: gli spaghetti con le vongole, sì, ma fujute.


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