Non solo bollette: dal gas al caffé, l’incubo speculazione
Incubo speculazione. La calza della Befana, per gli italiani, è piena. Sì, ma di preoccupazioni. I segni, dicono quelli che la sanno lunga, son per chi sa intenderli. Aumentano le bollette, il gas dalla Russia non arriverà più. Salgono i prezzi e sembra che possa essere solo l’inizio. Perché nell’ultimo report Istat ce n’è uno, di segno, che non si può ignorare. È vero, nel terzo trimestre del 2024, è aumentato il potere d’acquisto (+0,4%) a fronte di un aumento del reddito disponibile per le famiglie (+0,6%) ma è pur diminuita, ancora una volta, la propensione al risparmio delle famiglie (in calo dello 0,8 per cento, segna il passo al 9,2%). Gli analisti dell’Istat dicono di non preoccuparsi: si tratterebbe, infatti, di un dato congiunturale da inserire nel solco di un trend che rimane, comunque, in un “sentiero di crescita”. Ma è un segno che, però, non può essere completamente ignorato, perché la crescita della propensione al risparmio, che pure sembra risentire positivamente dei livelli record di occupazione, parte dal catastrofico tonfo che si è registrato negli anni passati. Quando, prima il Covid e poi la crisi energetica dovuta al conflitto tra Russia e Ucraina, ha costretto milioni di italiani a sopravvivere al carovita affidandosi a quanto erano riusciti a mettere da parte nel corso del tempo. Adesso che il peggio sembrava alle spalle, ecco che si abbatte sul Paese quella che sembra una nuova raffica di rincari. Da cui tutti, questa volta, rischiano di uscirne con le ossa rotte.
Quello che abbiamo imparato, negli ultimi anni, è che alle prime avvisaglie di ogni crisi corrisponde un rapido e repentino aumento dei prezzi, di questo o quel bene, prodotto, servizio. Alcune volte la speculazione ha raggiunto livelli pazzeschi, inimmaginabili solo fino a qualche anno fa. Dal gas a più di 300 euro al Mwh sul Ttf di Amsterdam qualche anno dopo, passando per gli aumenti alla pompa che portarono il prezzo della benzina a sforare i due euro al litro. Roba da indurre i governi e persino l’ultraliberista Ue a rispolverare strumenti che sembravano consegnati ai libri di storia: price cap, calmieri, cartelloni coi prezzi medi praticati. Tutto il possibile per tentare di disarmare la speculazione. Che, in questo primissimo scorcio di 2025, è lì pronta ad arroventare il carovita. Il pericolo è che la speculazione, partendo dalla chiusura dei rubinetti Gazprom imposta dal governo ucraino e accettata dall’Ue come misura di ritorsione contro la Russia, possa innescare un’altra, l’ennesima, valanga di aumenti. Le macro-cause, in fondo, servono a questo. Un po’ come il tema del cambiamento climatico, che pure c’è, ma che serve da paravento alla speculazione finanziaria per far impennare il prezzo di materie prime agricole essenziali, come cacao e caffè. Se la tazzina, al bar, costa come mai prima d’ora è stato (anche) perché gli hedge fund si sono scatenati sui futures portando i chicchi a valere, a luglio scorso, poco meno del 70% in più rispetto a quanto valessero a novembre ’23 giungendo addirittura a triplicarsi in appena due anni. Lo stesso è accaduto per il cacao, che oggi vale addirittura più del rame e ha visto raddoppiare il suo valore. Chiaramente, non vanno dimenticati gli aumenti che l’intera filiera agricola ha subito a causa della guerra in Ucraina. Dagli oli fino all’ambito lattiero-caseario, i costi vivi di carburanti e fertilizzanti hanno indotto i produttori ad aumentare i prezzi ai consumatori. A complicare il quadro, su scala globale, è il fenomeno del land grabbing: le grandi multinazionali si accaparrano i migliori terreni in ogni angolo del mondo imponendo le loro leggi ai mercati. Infine, dal momento che le disgrazie non arrivano mai da sole, oltre alle confuse normative Ue che finiscono per penalizzare gli europei e promuovere la concorrenza estera, c’è la questione del rafforzamento del dollaro a togliere il sonno ai consumatori. Gli scambi internazionali, infatti, sono quotati in moneta americana. E mai come in queste settimane, il dollaro fa sentire la sua forza all’euro che pure una volta, ormai tanti anni fa, coltivò il sogno (subito stroncato ma questa è un’altra storia) di sostituire il biglietto verde come valuta di riserva internazionale. Insomma, la calza della Befana degli italiani è piena. Di preoccupazioni. E, purtroppo, ne hanno ben donde.
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