L’ultima illusione svanisce con il fallimento Northvolt. I segni, dice il saggio, sono per chi sa intenderli. Dalla Svezia ne è arrivato uno che, se possibile, fa ancora più paura delle profezie di Nostradamus. Proprio perché, a differenza delle terzine, questa poggia su dati reali. In Scandinavia è accaduto che Northvolt, l’azienda di batterie per auto elettriche su cui l’Ue aveva puntato fortissimo, abbia dichiarato bancarotta. Avevano già presentato le carte in America, adesso i dirigenti dell’azienda hanno portato i libri mastri anche nei tribunali fallimentari svedesi. Su Northvolt, fondata nel 2016, sull’onda dell’entusiasmo green avevano puntato tutti: Volkswagen, Volvo, Scania, Goldman Sachs e Blackrock. È finita come è finita. Cioè male. Colpa di tante cose. Dei soldi che sembravano non bastare mai, dei progetti di apertura di fabbriche su fabbriche, della gestione non proprio ottimale lamentata dai dipendenti che, in tempi non sospetti, avevano già puntato il dito contro l’eccessiva dipendenza dalla supply chain cinese. Con la sostanziale fine del sogno di un hub europeo delle batterie per auto made in Ue, diventa sempre più difficile per la presidente della Commissione Ursula von der Leyen sostenere le posizioni sull’elettrificazione del mercato auto che, al momento, non stanno dando nessuno dei risultati auspicati. E che, anzi, hanno gettato l’automotive europeo in una crisi della quale non sembra vedersi la fine. Cogliendo, per paradosso, un fallimento che rischia di essere epocale. L’Ue era la prima al mondo nel settore, grazie alle politiche per l’elettrico tutti, dagli Usa (Tesla) alla Cina, stanno superando la vecchia, vecchissima Europa.