Negozi stritolati e chiusi (per sempre): i dati choc di Confesercenti
Serrande abbassate ovunque. Cartelli “affittasi” o “vendesi” nei centri di ogni città, soprattutto quelle di provincia. Negozi spariti. Le edicole, una volta punto di riferimento delle comunità, specialmente quelle più piccole, sparite. Ormai sono più rare degli unicorni. Ma così non si va lontano. Il paesaggio urbano dell’Italia, in particolar modo quella profonda, è cambiato. La desertificazione di cui si parla ormai da decenni è arrivata. Ma non c’entrano né il (vecchio) effetto serra, né il (nuovo) surriscaldamento globale e neanche (l’antico) buco nell’ozono. È l’economia che cambia. I negozi, stritolati tra burocrazia, tasse e concorrenza più (agguerrita) o meno (leale) delle major digitali, Amazon in testa. Confesercenti suona il de profundis al commercio al dettaglio italiano. I numeri suonano una sinfonia dell’orrore al cui confronto il Nosferatu di Murnau è roba da ridere. In dieci anni l’Italia degli ottomila campanili ha perso più di 140mila negozi. Di questi, ben 46.500 sono (state) attività di vicinato di base: dalle rivendite di alimentari fino a quelle dei giornali. Un’emorragia senza alcun ricambio generazionale. Le nuove iscrizioni, le nuove imprese, i nuovi negozi sono stati appena 10.500 quest’anno. Dimezzati, nettamente (-52%), rispetto a dieci anni fa quando le registrazioni di attività inaugurali aveva contato più di 22mila partite Iva. La contrazione è drammatica per le edicole: -72%. Malissimo anche le pompe di benzina: -71%. Capitombolo dei negozi per l’igiene personale (-56%), sprofonda anche la moda: si è registrato il 56% in meno di nuovi negozi d’abbigliamento e calzature. Vetrine spente, serrande chiuse. Ma il dato peggiore è ancora un altro: quello del commercio ambulante, in calo ma del 76%. Persino un’istituzione italiana come il bar se la passa male, anzi malissimo. Reggono, in pratica, solo gli stranieri e le nuove aperture sono inferiori del 40% rispetto a un decennio fa. Corrono, invece, alloggi e strutture ricettive. Bed and breakfast, case vacanze, garçonnière per turisti, affittacamere e soggiorni brevissimi sono in aumento del 342%. Non poteva essere altrimenti. Chi aveva una casa in città, magari piccola, ereditata dalla vecchia nonna, ha deciso di metterla a reddito trasformando vecchie e obsolete catapecchie in camere instagrammabili a disposizione dei turisti. In città ormai è rimasto solo il turismo. Per chi se lo può permettere. Per le grandi metropoli, per i piccoli borghi. Ma l’Italia, tutta, non potrà reggersi solo ed esclusivamente sui forestieri.
Le radici della desertificazione delle città, dei comuni che, nella migliore delle ipotesi sono stati trasformati in luna park a uso e consumo dei turisti, sono da ricercare (anche) nei numeri. I soldi non ci sono. E sono sempre di meno. Confesercenti ha calcolato che quest’anno “spariscono” ben 3,2 miliardi di consumi rispetto alle previsioni del Def. Tutta colpa dell’inflazione: “Nei primi sei mesi dell’anno, i consumi delle famiglie italiane sono aumentati, a livello nominale, di 5,6 miliardi. Una crescita che in termini reali – quindi al netto dell’inflazione -, corrisponde però ad una riduzione di 1,5 miliardi di euro sullo stesso periodo del 2023”, ha affermato la presidente Patrizia De Luise. Ma è cambiata, soprattutto, l’abitudine allo shopping degli italiani. La crisi dei negozi è lunga. E comincia qualche decennio fa con i primi centri commerciali. Si aggrava, poi, con la frontiera digitale. Un autentico Far West, fanno notare da Confesercenti, tra deserto (per troppi) e tesori (per pochissimi, sempre i soliti). “Ci sono enormi distorsioni nella concorrenza tra giganti del web e imprese di vicinato – ha spiegato De Luise -, su siti e app si effettuano spesso vendite scontate in aperto contrasto con le norme che regolano saldi e vendite promozionali. Anche abusi di posizione dominante, che si concretizzano in cambiamenti unilaterali delle condizioni di vendita per le terze parti”. Per queste ragioni, gli esercenti italiani hanno deciso di presentare un esposto all’Antitrust: “Ora attendiamo una risposta”.
Intanto, per i commercianti italiani, incombe una stagione decisiva: quella dei regali di Natale. Che inizierà, anche quest’anno, molto prima. E sempre all’insegna del risparmio. L’86 per cento dei consumatori, secondo una ricerca Ipsos realizzata per Confesercenti, attenderà il Black Friday per comprare i regali di Natale. Ma il grosso degli acquisti, ben sei su dieci, verrà fatto online. Per i negozi il rischio è che rimarranno solo le briciole di un giro d’affari da 3,8 miliardi di euro stimato in aumento dell’8,6% rispetto a un anno fa. Danno e beffa, al solito, vanno a braccetto: “Solo il 19% dei consumatori che abbiamo intervistato con Ipsos prevede di aumentare le spese legate alle festività quest’anno, mentre il 30% cercherà di risparmiare”, hanno fatto sapere gli esercenti. E nessuno può fare sconti come i colossi del web. E così sempre più serrande resteranno abbassate, si spegneranno altre vetrine, si appenderanno altri cartelli “affittasi” destinati a rimanere lì per molto tempo. Il deserto è arrivato nel cuore delle città ma gli allarmi climatici non c’entrano proprio nulla.
Torna alle notizie in home