Hot parade
Sale: Radja Nainggolan. Facile la battuta, se fossimo giustizialisti come quelli lì: le righe, in campo, le portava lui. Infelice la vicenda: Radja Nainggolan, ex bad boy a Roma, Cagliari e Inter, è stato arrestato dalle autorità belghe con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Triste il destino: aveva appena trovato squadra, dopo tanto penare s’era accasato in B nel suo Paese e aveva pure segnato un gol. Una gioia che gli è durata poco, pochissimo. Fino al blitz, alle accuse, all’interrogatorio fiume. Lui, intanto, nega tutto.
Stabile: Gianfranco Fini. Sognavano di ritrovare il guastafeste, il rompi-dibattito. E invece Gianfry, intervistato a La Stampa per i trent’anni della svolta di Fiuggi da cui nacque Alleanza Nazionale e il centrodestra così come lo conosciamo oggi, s’è negato, nonostante le solite arzigogolate diritti & migranti, la solita tiritera del “destro anti-destro”, resistendo alla grande sul tema antifascismo (“basta farne macchietta”) e bocciando, senz’appello, la serie televisiva sul romanzo M di Scurati.
Scende: Gustavo Petro. La palma di primo mazzolato da Donald Trump va al presidente della Colombia. Che ha imparato, carissimo, che quello dell’eroe, più che un destino, è una vocazione. Voleva, El Presidente, rimandare negli Usa i clandestini che gli Stati Uniti gli avevano appena rispedito. S’è imposto e ha fatto tornare indietro l’aereo. A The Don è bastato un post sui social in cui prometteva dazi giganteschi (25 per cento subito, 50 per cento a breve) e altre amenità su ingressi, visti e funzionari di Stato. Bogotà, con la schiena dritta, ha calato braghe e aperto gli aeroporti abbracciando “con dignità” i suoi concittadini rispediti indietro.
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