Editoriale

BENITO E IL LUPO

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Come al solito il 25 aprile l’Italia anziché unirsi si divide. In verità stavolta la colpa maggiore è della sinistra, che vede da mesi fascisti dappertutto, finendo per cadere nella trappola di Prokofiev, gridando al lupo al lupo. Fin quando non le crede più nessuno. Il problema con la nostra storia ce l’abbiamo eccome. E non per caso. Siamo un Paese che ha fatto l’unica cosa peggiore che dimenticare: fingere di non sapere. Non sapere che l’Italia ha ancora molte questioni aperte con le pagine più buie della sua storia. E che solo per poter parlare delle foibe sono serviti decenni. Il problema è che a noi piace la verità solo quando è semplice. E alla fine semplice, di questi tempi, significa vedere camicie nere dappertutto. Darà una grande soddisfazione a una certa sinistra, immagino, visto che siamo arrivati a considerare la Resistenza un partito politico, cosa aberrante per chi conosce davvero la storia. Eppure è proprio lì che sta il problema. È da questa semplificazione che deriva il fatto che alle scuole superiori oggi non sanno nemmeno chi fosse Mussolini. Ed è dallo studio che dovremmo ricominciare. Dalle domande. Dalla curiosità di sapere. E invece di fronte a queste sciagure culturali il Paese, sinistra per prima, reagisce con la retorica che in pratica è il manganello della cultura. Ne deriva che la parola fascista venga imbracciata ormai da mesi come l’unica pietra da scagliare contro il governo di destra. Un governo eletto democraticamente, come la Costituzione prevede, quindi a rigor di logica capace di stare al vertice delle istituzioni repubblicane proprio grazie al 25 Aprile (non tanto come data, visto che è una data simbolica che non rappresenta la fine reale della guerra in tutto il Paese), ma per quello che la Liberazione e la Resistenza hanno portato a tutti noi: la libertà e il conseguente ingresso dell’Italia e degli italiani fra le grandi democrazie occidentali. È solo in virtù di questo che oggi Giorgia Meloni siede a Palazzo Chigi. Risulterebbe strano immaginare che non fosse felice che un 25 Aprile ci fosse stato. Eppure il Pd sceglie di spostare simbolicamente la sua segreteria a Riano. Cioè abusa della Resistenza. Abusa della storia comune per un fine politico. Non lo fa in modo doloso. Lo fa d’istinto. E parte con il pullman intonando Bella ciao. Solo che l’istinto finisce per essere retorica. Una retorica che non serve a migliorare il Paese, anzi casomai a radicalizzare lo scontro fra fazioni. Proprio quando a un secolo e fischia dalla Marcia su Roma avremmo dovuto trovare, tutti, un alfabeto comune. Facendo così chi indossa la camicia nera davvero finisce per diventare un gadget dello scontro ideologico, così come certe frasi pronunciate dalle istituzioni dello Stato finiscono per diventare buone solo per fare polemica fra tv e social. Senza gravitas, senza peso, senza effetto. A me il messaggio che viene da questo Aventino culturale dei progressisti non piace. Mi comunica che in fondo non siamo disposti nemmeno noi a condividere la storia. Cosi come non siamo disposti al confronto con la destra di governo, invocando lo scontro addirittura sulle garanzie costituzionali, come se fossimo un Paese in pericolo, come se al Quirinale ci fosse Vittorio Emanuele III e non Sergio Mattarella. Non sarà che forse la sinistra ha finito i colpi della contemporaneità e le piacerebbe poter usare quella sola storia sacra che le rimane? E che certo non riguarda gli ultimi anni di governo di questo Paese.

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