Economia

La battaglia dei dazi diventa la guerra dei mondi (digitali)

di Giovanni Vasso -

epa11242486 A view of European Commission headquarters, Berlaymont building in Brussels, Belgium, 25 March 2024. On March 25, the EU Commission initiated non-compliance investigations under the Digital Markets Act (DMA) into Alphabet's rules on steering in Google Play and self-preferencing on Google Search, Apple's rules on steering in the App Store, and the choice screen for Safari, as well as Meta's 'pay or consent model'. The Commission suspects that the measures implemented by these gatekeepers do not fully comply with their obligations under the DMA. EPA/OLIVIER HOSLET


Fu così che la battaglia dei dazi diventò la guerra (virtuale) dei mondi. La missione americana del commissario Ue al commercio, lo slovacco Maros Sefcovic, non è andata granché bene. Poche o nessuna dichiarazione ufficiale, dalla trattativa con l’omologo Usa Howard Lutnik è emesso solo qualche timidissimo accenno a tariffe, per tutti i Paesi Ue, nell’ordine del 20%. E tanto sarebbe pure bastato finché non ci ha pensato Donald Trump a infrangere ogni congettura: ogni nuova auto prodotta in Europa, così come in Asia, e destinata agli Stati Uniti sarà tassata del 25%. Le parole del presidente Usa hanno letteralmente inchiodato al segno meno le borse mondiali, appesantendole così come ci si poteva aspettare. Per soprammercato, Trump ha voluto avvisare Canada e Ue che, nelle ultime settimane, avevano iniziato a moltiplicare i loro incontri con l’obiettivo di fare fronte comune davanti ai dazi Usa. Se agiranno alle spalle dell’America, ha tuonato The Don, le tariffe a loro carico saranno (ancora) più pesanti. Il problema, però, è che Trump e il suo governo non possono nemmeno tirar troppo la corda. L’Ue, pur di evitare i dazi, ha iniziato a comprare gnl a prezzi spropositati (che, chiaramente, non saranno raggiunti da controdazi europei) e ha avviato un piano di riarmo da oltre 800 miliardi di euro che, per una importante quota parte, finirebbero dritti dritti nelle casse delle major Usa della difesa, nonostante le clausole “buy european” imposte al piano. Ma se Bruxelles dovesse arrivare al punto da non avere più nulla da perdere, per gli americani, le cose rischiano di farsi serie. Già, perché (tra le altre) le dichiarazioni più eloquenti e minacciose (nei limiti del possibile, ça va sans dire) per Washington le ha pronunciate la signora Teresa Ribera, spagnola, socialista, vicepresidente della Commissione Ue, responsabile della transizione green ma, soprattutto, capo del dipartimento Antitrust. Quello, per intenderci, che potrebbe ricominciare a far la guerra alle Big Tech americane a suon di sanzioni ultramiliardarie. Ribera ha bollato come “notizia molto negativa” la scelta americana di caricare dazi così ingombranti sulle auto (ma non sulla componentistica di cui l’industria americana ha bisogno) e ha tuonato: “Ci dispiace che l’amministrazione americana agisca contro il buon funzionamento del mercato globale, in un settore, quello dell’auto, che richiede condizioni di concorrenza eque e che ha bisogno di stimoli all’innovazione. Penso che sia negativo per i consumatori, negativo per l’industria. Ma ovviamente dobbiamo anche tutelare i nostri interessi come europei. Lavoreremo insieme al settore per fare in modo che la situazione sia gestibile per le nostre imprese”. Ribera non è certo tra i volti più amati dall’automotive Ue dal momento che non è mai stato un mistero il suo sostegno, senza se e senza ma, agli obiettivi stringenti fissati a suo tempo dal Green Deal. I produttori tedeschi, già allarmati e debilitati dai dazi Ue imposti alla Cina che hanno portato i loro affari in Asia a precipitare, hanno subito chiesto ulteriori trattative con gli Usa. Ribera non s’è sbilanciata e ha parlato, più genericamente, della necessità di “sostenere un’industria che rispetta standard elevati in materia di diritti del lavoro, di sostenibilità ambientale, e che è fondamentale per il corretto funzionamento dell’economia europea e globale”. Nemmeno una parola sui Big Tech. Ed è proprio questo silenzio ciò che dovrebbe far preoccupare Trump. Perché, evidentemente, l’Ue si sta serbando la carta vincente per ultima nella speranza di poter strappare ulteriori concessioni all’ingombrante alleato americano prima del 2 aprile. Ma, come riportano più voci ormai da settimane, i giganti digitali americani rischiano grosso. A cominciare da Meta che, a causa di ulteriori violazioni riscontrate al Dma inerenti all’abbonamento proposto agli utenti in cambio di zero pubblicità, potrebbe vedersi appioppare una maxi-sanzione da un miliardo di euro. Ma questa, nonostante l’enormità della cifra, è solo la punta dell’iceberg. In ballo potrebbe esserci il grande affare, quello che ha (davvero) reso ricchissima e superpotente la Silicon Valley. Se l’Europa decidesse per un ulteriore giro di vite sui dati, la loro raccolta, il loro utilizzo e, soprattutto, il loro trasferimento dall’Ue verso gli Stati Uniti. Per Big Tech questa sì che sarebbe una mazzata. Che Trump non potrebbe permettersi né politicamente e nemmeno strategicamente impegnato com’è a ribadire, rimarcare e sottolineare il primato digitale Usa nel mondo. Al punto da voler imporre alla Cina, in cambio di “sconti” sui dazi, un accordo su Tik Tok. Proposta che Pechino ha bocciato ritenendola irricevibile. Intanto, in Asia, è arrivato ieri il commissario Sefcovic e si fermerà oggi. La battaglia dei dazi rischia di trasformarsi nella guerra dei mondi, virtuali. Il 2 aprile si avvicina.


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