Cda di Banco Bpm nella sede di piazza Meda, Milano, 26 Novembre 2024.
ANSA/MATTEO CORNER
Più che un’offerta, quella di Unicredit a Banco Bpm è sembrato un vero e proprio tackle. Il consiglio d’amministrazione della banca s’è riunito ieri mattina e ha rifiutato l’Ops, la proposta “carta su carta” da dieci e rotti miliardi di euro avanzata dall’istituto di credito guidato dall’ad Andrea Orcel. Ogni cosa ha un prezzo. Anche rifiutare un’offerta non proprio all’altezza delle aspettative, potenzialità ed effettivi valori in campo espressi dalla stessa Bpm. Che ora, dopo aver detto “no” a Unicredit si ritrova soggetta alla regola della passivity rule con tutto quello che ne consegue e cioè l’insorgere, per l’ex Banco popolare di Milano guidato dall’amministratore delegato Giuseppe Castagna, di “un quadro di elevata incertezza” che andrà a pesare sulle operazioni in essere. A cominciare dall’affare Anima per finire all’acquisizione delle quote di Monte Paschi dismesse dal Mef. La risposta a Unicredit non poteva essere più netta da parte dei dirigenti di Banco Bpm che a fronte di un’offerta caratterizzata “dalle inusuali condizioni di prezzo” ora si ritrovano a dover fare i conti con forti condizionamenti sulla “flessibilità strategica del gruppo, in particolare con riferimento alle condizioni dell’offerta pubblica di acquisto promossa lo scorso 6 novembre da Banco Bpm Vita, società interamente partecipata dalla banca, sulla totalità delle azioni Anima Holding e al recente investimento da parte della banca nel capitale sociale di Banca Monte dei Paschi di Siena, determinandosi così un quadro di elevata incertezza”. Un tackle, dunque, più che un’offerta. Che la si considerasse tale è stato chiaro fin dall’inizio. Quando Mauro Paoloni, membro del cda presieduto da Massimo Tononi e già vicepresidente dell’organismo direttivo, poco prima di entrare in riunione ha ammesso ai giornalisti di considerare quella di Unicredit “un’offerta ostile”. Le ragioni del no opposte dal Cda a Orcel partono dalle questioni economiche e finanziarie per finire a quelle lavorative e occupazionali. Si teme, infatti, l’impatto delle sinergie di costo lorde stimate da Unicredit in 900 milioni, ossia più di un terzo della base costi di Banco Bpm. Cifra che desta forti preoccupazioni in riferimento a possibili ricadute a livello occupazionale e sociale. Poi c’è la vicenda giuridica: con la fusione, difatti, verrebbe meno l’autonomia di Banco Bpm “a discapito del brand” e della “concorrenza sul mercato bancario italiano sia per i clienti retail sia per i clienti corporate, in particolare per le pmi”. La banca di via Meda a Milano, poi, vorrebbe evitare di essere coinvolta nell’affaire Commerzbank, una vicenda che si preannuncia lunghissima, frastagliata e di difficile risoluzione. Ma soprattutto perché, in Germania, Banco Bpm non vede sbocchi. Last but not least, la questione del prezzo ritenuto a dir poco basso per concludere l’affare e il Cda tuona: “In via preliminare e nel migliore interesse degli azionisti, si rileva all’unanimità che l’offerta indica un corrispettivo unitario, interamente in azioni, che riflette un premio dello 0,5% rispetto al prezzo ufficiale di Banco Bpm del 22 novembre e uno sconto implicito del 7,6% rispetto al prezzo ufficiale di ieri”. Numeri troppo insoddisfacenti: “Nell’opinione del Consiglio di amministrazione, non riflettono in alcun modo la redditività e l’ulteriore potenziale di creazione di valore per gli azionisti di Banco Bpm che è ulteriormente rafforzato dalle operazioni straordinarie recentemente annunciate, che si aggiungono alle azioni già contenute nel piano industriale 2023-26 e che si tradurranno in un aggiornamento degli obiettivi del piano medesimo, già in parte anticipati al mercato”. Sulla vicenda si sono accesi i riflettori anche in Francia, dal momento che Crédit Agricole è il primo azionista di Banco Bpm per il 9,1%. Da Montrouge non s’è mossa una foglia, nel senso che non arriveranno, almeno a breve, richieste alla Bce per ampliare ulteriormente la propria partecipazione nel capitale sociale dell’istituto di credito milanese e superare così il 10%. Sulla vicenda si sono fiondate, subito, le agenzie di rating. Come Standard & Poor’s, secondo cui non è da escludere che l’offerta “diventi più attrattiva” e che brinderebbe a un’eventuale unione: “Strategicamente, l’operazione ha senso per UniCredit in quanto rafforzerebbe la sua posizione di mercato in Italia, e in particolare nella parte più ricca del Nord Italia, dove la banca è sottorappresentata”. Proprio questa è una delle motivazione che hanno indotto lo stesso Orcel, intervistato al Tg1 lunedì sera, a parlare di “operazione pianificata da anni”, con l’intenzione di disinnescare la polemica politica avviata dal vicepremier Matteo Salvini e infiammata dal ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti che s’è detto pronto a utilizzare l’opzione della golden power. A via XX Settembre, però, le preoccupazioni sono (anche) altre. Ora che scatta la passivity rule, e quindi con il sostanziale blocco di ulteriore indebitamento e di creazione di passività, come andrà a finire il progetto del terzo polo bancario di cui Banco Bpm avrebbe dovuto essere il perno?