Politica

PRIMA PAGINA-Bagarre alla Camera su Ventotene. Il futuro dell’Ue cede il passo a uno scontro sul passato

di Giuseppe Ariola -


Difesa comune europea, situazione ucraina, il riacuirsi della crisi mediorientale e i dazi imposti da Trump, nel dibattito di ieri alla Camera hanno ceduto il passo a una disquisizione su Ventotene, sul celebre Manifesto che porta il nome dell’isola e all’ennesima discussione tra chi si proclama orgogliosamente antifascista e chi di fascismo è invece accusato. Durante il secondo giorno di comunicazioni della premier Giorgia Meloni al Parlamento sul Consiglio europeo di oggi, l’emiciclo di Montecitorio si è infatti trasformato in un’arena nella quale è andato in scena uno scontro sul noto documento diffuso nel 1944. Si sarebbe dovuto parlare del futuro dell’Europa e, invece, l’Aula della Camera è diventata teatro di ricostruzioni storiche e responsabilità politiche del passato, tornando a oltre 80 anni fa. A scatenare la bagarre è stato un passaggio dell’intervento di Giorgia Meloni che ha affermato di non riconoscersi nell’Europa del Manifesto di Ventotene dopo averne citato alcuni periodi. Per qualcuno uno scivolone, per altri un tassello importante di un discorso teso a tenere coesa una maggioranza che da sempre traballa sui dossier comunitari e a dare questa rappresentazione di unità anche all’esterno. Comunque sia, le citazioni della presidente del Consiglio scatenano l’insurrezione delle opposizioni che la interrompono costringendo il presidente della Camera Lorenzo Fontana a intervenire per riportare l’ordine. Ma il richiamo giunto dallo scranno più alto dell’emiciclo di Montecitorio è pressoché vano. I dem Giuseppe Provenzano e Federico Fornaro, che picchia sul banco prima la mano e poi di fascicoli di seduta, schizzano all’impiedi seguiti a ruota da Piero De Luca che ormai da mesi tampina Elly Schlein nel tentativo di garantirsi la ricandidatura nonostante le intemerate del padre contro il Pd con l’obiettivo di fare un terzo giro come governatore della Campania. Poi è la stessa segretaria del Pd a lasciare il proprio posto per unirsi a Debora Serracchiani, intenta a inveire contro la maggioranza che applaude l’intervento della premier, nel frattempo riaccomodatasi con il sorriso stampato sul volto. Partono le accuse di fascismo – tanto per cambiare – alle quali risponde il capogruppo di Fratelli d’Italia gridando “ma basta!” e facendo dei gesti con la mano. È il caos, la seduta viene sospesa. Tra i primi a conquistare il Transatlantico c’è un furente Nicola Fratoianni che si sfoga contro Bignami con il campanello che gli si crea subito attorno. “Si parla di confini, di difesa nazionale, tu sei andato in giro vestito da nazista, non devi parlare, devi fingerti morto. Invece si è messo pure a fare i gesti”, tuona. Dopo qualche minuto anche la premier abbandona l’Aula in compagnia di Giovanni Donzelli senza regalare alcuna dichiarazione. Poi è la volta proprio di Bignami che contesta a sua volta i toni assunti dall’opposizione e interpellato su chi del suo gruppo terrà la dichiarazione di voto risponde sornione: “Io, abbiamo pensato sia il caso di una pacificazione”. Nel tentativo di far stemperare gli animi la capogruppo rinvia la discussione al pomeriggio, dando anche il tempo agli uffici dei gruppi di integrare gli interventi con quella che è diventata la notizia del giorno, l’oltraggio a Ventotene. Matteo Renzi rimpiange di essere al Senato e, rubando la scena ai colleghi deputati, durante la pausa dei lavori rivendica di aver, da presidente del Consiglio, invitato i leader di Francia e Germania proprio su quell’isola. La seduta riprende con toni tutt’altro che pacati, dall’una come dall’altra parte dell’Aula dove si alternano accuse e difesa a premier e governo. Intervengono i big, ovvero i presidenti dei gruppi o i numeri uno dei partiti, come nel caso di Conte e Schlein. Il primo si riscopre europeista, archiviando definitivamente la stagione anti-Ue di quando sedeva a Palazzo Chigi. La segretaria dem insiste sui valori antifascisti sia del Manifesto di Ventotene che della Costituzione. Poi è la volta di Bignami che rivendica la costante difesa del tricolore da parte della destra. Alla fine si vota e la maggioranza incassa l’ok alla propria risoluzione. L’unica cosa scontata di una giornata in cui il passato ha rubato la scena al futuro.


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