Politica

Autonomia, firme e polemiche ma la parola è della Consulta

di Ivano Tolettini -


L’effetto della firma online spinge verso l’obiettivo fissato dal Comitato per il raggiungimento delle 500 mila firme per chiedere il referendum sull’Autonomia differenziata, anche se un esperto del calibro del costituzionalista Mario Bertolissi, emerito dell’Università di Padova, sostiene con pragmatismo giuridico: “Ormai l’hanno buttata in politica e non si parla più dei contenuti, anche se ho forti dubbi che la consultazione sia ammissibile e questo lo affermo in base alla giurisprudenza della Consulta”. Così mentre Angelo Bonelli, deputato di AVS e portavoce di Europa Verde, ieri pomeriggio afferma che “è incredibile quello che sta accadendo per la raccolta firme che vuole fermare l’autonomia differenziata, 350 mila firme in pochissimi giorni. Questo vuol dire che molto probabilmente nelle prossime 36 ore raggiungeremo il quorum e quindi la soglia delle 500 mila firme”, il prof. Bertolissi argomenta che chi sollecita il referendum lo qualifica come “legge cornice” per l’attuazione dell’articolo 116 della Costituzione, terzo comma, ma in questa maniera si tratta di una norma a “contenuto costituzionalmente obbligatorio” e pertanto non sarebbe assoggettabile al referendum. Ma al di là delle questioni formali, che saranno sostanziali quando passeranno al vaglio della Corte, resta il fatto che ormai il dibattito sull’autonomia è prettamente politico. Bertolissi dopo avere ricordato che non è meloniano, aggiunge che l’unico argomento sostenuto dalla segretaria del Pd, Elly Schlein, è che la riforma Calderoli spaccherà il Paese, senza convenire con il realismo dei numeri “che l’Italia è già spaccata e lo resterà”, nonostante la legge sull’autonomia sia stata modificata in Parlamento. Intanto, il comitato per il referendum abrogativo dall’altro giorno è presieduto dall’emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick, e si sottolinea che l’incremento medio delle firme sul web è di circa 5 mila all’ora, oltre a quelle che sono raccolte nei gazebo sparsi in tutta Italia. Tant’è che l’ex premier Giuseppe Conte dice che “la raccolta vola perché i cittadini non vogliono un’Italia frammentata”. Come appunto già non lo fosse, tanto da far ripetere ai leghisti, come il governatore del Veneto, Luca Zaia, che l’Autonomia è irrinunciabile, “migliorerà il Paese perché consentirà di dislocare meglio le risorse e permetterà ai territori di misurarsi con i Livelli essenziali delle prestazioni che saranno un parametro fondamentale per verificare la qualità dell’erogazione dei servizi”. Ma non solo, perché Zaia intravede un altro pericolo concreto: “ L’autonomia differenziata non è uno spacca-Italia ma lo è il referendum. Se si va al referendum avremo i guelfi ed i ghibellini. Andate a dirlo ai 2 milioni e 328 mila veneti che hanno votato nel 2017 per l’Autonomia, e che non sono tutti leghisti, che qualcuno ha deciso per loro che non si dovrà fare l’autonomia e non ci sarà la possibilità del decentramento amministrativo. Perché di questo si tratta”. Chi si distingue, e non potrebbe essere diversamente, è Carlo Calenda di Azione, il quale ribadisce di “essere contrario all’autonomia, ma non è con un referendum che alimenta lo scontro che si combatte la riforma”. Va ricordato che il regionalismo differenziato fu voluto in Costituzione dalla sinistra e imposta con soli 3 voti di scarto del Parlamento. Quindi nel 2001 al referendum 10 milioni di italiani dissero sì e solo 5 no. Per questo Tommaso Foti, capogruppo FdI alla Camera, rimarca che “se davvero l’autonomia era il male assoluto perché Bonaccini, con Zaia e Fontana, la chiese? E la commissione presieduta da Sabino Cassese ha 2 anni di tempo per definire i Livelli essenziali delle prestazioni. La legge introduce un vincolo che prima non c’era: sulle materie che prevedono i Lep, se non ci saranno le risorse, non si faranno intese. Cassese e Guzzetta lo hanno chiarito bene. O sono folli o qualcuno bara”. Visto che la raccolta delle firme per il referendum abrogativo raggiungerà l’obiettivo, la penultima parola passerà alla Consulta. Toccherà poi al popolo, in ultima analisi, esprimersi compiutamente.


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