Automotive, la fuga e la rivolta delle imprese: bye bye Italia e Ue
Le imprese italiane della componentistica dell’automotive si interrogano sulla crisi e le reazioni sono forti e anche sorprendenti, l’impulso è quello di cercare altre strade fuori dell’Italia e anche extra Ue o addirittura di trasformare le proprie strategie mollando il settore. Alla luce di una fotografia – lo ha fatto l’abituale Osservatorio dell’Anfia, l’associazione della filiera – che legge il passato 2023 nella complessità dello scenario globale ed europeo, tra tensioni geopolitiche vecchie e nuove – l’ormai stabile conflitto Russia-Ucraina, la guerra in Medio Oriente che investe con i suoi riflessi pure il Mar Rosso, le dispute commerciali tra Usa e Cina e i loro effetti sulle catene di approvvigionamento e sulla logistica – dinamiche inflazionistiche e incremento dei costi di produzione, continua a suscitare grande incertezza l’incedere della transizione energetica prevista dal Green Deal europeo. Anche perché nessun conforto può venire dall’elettrico: persiste un gap nello sviluppo delle nfrastrutture di ricarica e si diffondono i timori legati all’ingresso di nuovi player competitivi – le Case auto cinesi – sul mercato dell’elettrico del Vecchio Continente e quindi anche in Italia, proprio mentre alcune sue economie chiave, come quella tedesca, rallentano bruscamente.
L’Anfia parla di resilienza, perché c’è stato un aumento dei volumi della produzione anche in Italia (+10,6%), ma la quota di mercato dei Paesi storicamente più legati all’industria automotive continua a ridursi a favore dei Paesi emergenti e gli autoveicoli prodotti in Italia a fine 2024 potrebbero abbassarsi a poco più di 600mila unità, con un pesante calo del 31% rispetto al 2023, aggravando la progressiva riduzione dei volumi registrata a partire dal 2018. La preoccupazione per la tenuta della filiera produttiva è forte. A livello operativo, quella maggiore nel breve periodo riguarda la difficoltà di farsi riconoscere gli aumenti dei costi di produzione da parte degli OEMs, i produttori di apparecchiature con marchio originale, accompagnata dai continui shortages nella supply chain: la carenza dei chip, il collasso dei porti, il rincaro delle materie prime.
Marco Stella, presidente Gruppo Componenti di Anfia, è molto netto: “La componentistica è sotto pressione, l’impatto del perdurante calo dei volumi di veicoli prodotti rende urgente attuare misure di politica industriale per la competitività delle imprese e rende ancora più grave quanto prospettato in Finanziaria con la distrazione di circa l’80% delle risorse del Fondo automotive 2025-2030, che auspichiamo possa essere corretta nel corso dell’iter parlamentare”.
Interrogate sulle previsioni per l’anno in corso, le imprese – sono 2.135 imprese, hanno impiegato nel settore circa 170mila addetti e generato un fatturato pari a 58,8 miliardi di euro – si esprimono chiaramente con una visione marcatamente pessimistica. Il 2024 viene atteso, infatti, come anno di arretramento per tutti i vari indicatori economici, a partire dal fatturato che vede appena il 23% degli operatori dichiarare una crescita e il 55% una diminuzione, con un saldo del -32%. Per un’impresa su tre è prevista una contrazione dell’occupazione, ma il quadro negativo si evidenzia anche per gli investimenti fissi lordi, per i quali il saldo tra prospettive di crescita e di decremento risulta pari al -19%.
Attese sfavorevoli riguardano quindi tutte le categorie di operatori. E il segnale diventa forte, specie di fronte alla scadenza europea del 2035 ove è ovviamente molto alta l’attenzione al dibattito in corso tra la possibilità di un anticipo dal 2026 al 2025 della clausola di revisione del Regolamento Ue sulla riduzione delle emissioni di CO2 e un’eventuale apertura al principio di neutralità tecnologica al posto dell’attuale approccio alla decarbonizzazione concentrato sulla sola tecnologia elettrica.
Perciò parte significativa della filiera intende cambiare decisamente marcia. Il 34% delle imprese è pronta a modificare il proprio modello di business puntando a mercati extra Ue e orientando i prodotti verso l’elettrico o l’idrogeno. Il 12%, addirittura, valuta l’uscita dal settore automotive per aprirsi ad altri settori. Un altro passo verso il declino dell’automotive in Italia.
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