Automotive al palo, la metà delle imprese italiane non investe
L’automotive italiano è in panne, quasi la metà delle imprese italiane non prevede investimenti significativi in nuovi prodotti. E tra chi investe, la maggioranza intende farlo paradossalmente nella mobilità elettrica, visto come l’unico comparto dell’industria con prospettive di crescita occupazionale. Anche se, in generale, la manovra europea e nazionale non abbia fornito finora segnali di strategie convinte e conseguenti agli obiettivi ogni volta prefissati ma pure spesso dilazionati.
Il dato, dall’analisi presentata oggi al ministero delle Imprese e del Made in Italy dall’Osservatorio Tea, l’osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano, guidato dal Center for Automotive & Mobility Innovation dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dal CNR-IRCrES, nell’ambito dell’evento “Mobilità elettrica e industria italiana: i risultati della survey 2024”.
La ricerca si basa sulle risposte a una survey condotta nel 2024, dalle risposte emerge che il 48,1% delle aziende rimarrà sostanzialmente fermo a livello di investimenti nel triennio 2024-2027, rinunciando a sviluppare nuovi prodotti in scia al clima di incertezza che si è generato in Italia sulla transizione tecnologica dei trasporti. A livello numerico, le aziende che continueranno a investire lo faranno guardando più alla mobilità elettrica (31% dei rispondenti) che alle motorizzazioni endotermiche (20,9%).
In termini di volumi di risorse, il 61,6% degli investimenti sarà rivolto a componenti che non sono collegati al tipo di alimentazione del veicolo, rispecchiando la natura fortemente invariante del portafoglio prodotti e delle competenze della filiera. Il 17,9% degli investimenti si concentrerà sullo sviluppo di componenti esclusivi per i veicoli elettrici, il 10,1% sui componenti specifici per i veicoli endotermici, il 6,7% su ingegneria e design e solo il 3,8% sul software, che rappresenterà invece uno dei principali terreni di sfida dei prossimi anni.
Le aziende di maggiori dimensioni, nelle risposte, evidenziano una più spiccata visione internazionale e maggiore propensione all’innovazione, le realtà medio-piccole, spesso ubicate al Sud e molto dipendenti da pochi grandi committenti, faticano a mantenere il passo.
Guardando alla transizione tecnologica, il 66% delle imprese prevede che l’elettrificazione non avrà impatti sul portafoglio prodotti o non richiederà in ogni caso particolari adeguamenti, il 26,6% si appresta ad adottare un percorso specifico di adattamento e il 7,4% ipotizza di agire radicalmente sul proprio portafoglio prodotti o di concentrarsi su altre attività non collegate al settore automotive.
Insieme con il tema dello sviluppo di prodotto preoccupa la generalizzata carenza di investimenti anche sul versante dell’innovazione di processo: nonostante gli incentivi, il 55,2% delle aziende non ha in programma investimenti di questo tipo. E, sotto il profilo occupazionale, le imprese che investiranno nelle produzioni rivolte alla mobilità elettrica sono le uniche con un outlook positivo, soprattutto per quanto riguarda le assunzioni nelle aree a maggior valore aggiunto, come ricerca e sviluppo (+5,6%) e sistemi informatici (+8%).
In cima alle preoccupazioni della filiera c’è il nodo dei costi dell’energia, seguito dall’esigenza di un’accelerazione sull’adozione delle fonti rinnovabili, percepita come un elemento di competitività rilevante per via delle certificazioni sull’impronta carbonica richieste ai fornitori di componenti. Inoltre, si invocano politiche per la diffusione dell’infrastruttura di ricarica, per facilitare assunzioni e formazione del personale e per stimolare la domanda di veicoli elettrici, agendo così indirettamente anche sulle economie di scala. Si segnalano infine tra le priorità indicate dalla filiera le azioni orientate a favorire la realizzazione di nuovi impianti, il rientro in Italia di attività produttive, la collaborazione tra soggetti diversi, gli accordi di innovazione per l’automotive e l’attrazione di nuovi investitori.
Una filiera estesa che non è esposta in modo particolare all’elettrificazione del drivetrain, insomma. Il direttore dell’Osservatorio Tea, Francesco Zirpoli, afferma che “le crisi in atto sono da attribuire prevalentemente ad una diminuzione significativa e generalizzata delle commesse che riguarda prevalentemente i fornitori che hanno un alto volume d’affari con Stellantis. E un numero molto significativo di imprese che presenta alte potenzialità di crescita nel prossimo triennio: sono quelle che investono più della media in innovazione e che dall’Italia sono cresciute verso l’estero”.
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