Auto elettriche: la Commissione vuole i dazi, la Cina si arrabbia e la Ue si divide
Stazione di ricarica per le 4 vetture elettriche (Renault ZOE, in noleggio a lungo termine) in dotazione al Senato (che sostituscono 2 auto ''blu'' tradizionali), Roma 18 Giugno 2015, ANSA/GIUSEPPE LAMI
I dazi, le auto elettriche e i dilemmi dell’Ue. La notizia è di quelle dirompenti. Dopo tante chiacchiere e anticipata da un articolo pubblicato dal Financial Times, l’Unione europea si è detta pronta a imporre, o meglio aumentare, i dazi imposti sull’importazione di auto elettriche di produzione cinese. Causando l’irritazione (a dir poco) di Pechino che annuncia ritorsioni e scatenando l’ennesimo fronte di divisione tra gli Stati membri dell’Unione, con la Germania pronta alla guerra con Bruxelles per non andare alla guerra (commerciale) con la Cina.
Il quotidiano economico ha sganciato una vera e propria bomba. Il Ft ha parlato dell’intenzione, da parte della Commissione, di aumentare la quota dei dazi dall’attuale 10% al 25%. Poi, nella giornata di ieri, è arrivato l’impegno di Bruxelles. Secondo cui le aziende cinesi usufruiscono di “sussidi ingiusti” e agiscono favorite da un regime di “prezzi artificiali” che rischiano di mettere kappaò l’industria automobilistica europea. Il listino Ue è salato: per Byd i dazi saliranno al 17,4%, per Geely al 20% mentre per Saic aumenteranno fino al 38,1%. Tutto sta nella disponibilità mostrata dalle case cinesi a “collaborare” all’inchiesta avviata nell’autunno scorso sul tema Bev proprio dalla Commissione Ue. Chi s’è messo a disposizione delle autorità Ue si vedrà imporre dazi “solo” del 21%, per tutti gli altri è pronta la stangata del 38,1%.
Una decisione che dovrebbe mettere d’accordo tutti, almeno in Europa, a tutela dell’occupazione e della produzione nel Vecchio Continente. In teoria. Nella pratica, invece, le cose sono molto più complesse. E, ora, davvero si rischia la guerra interna all’Ue. I postumi della politica commerciale tedesca, avviata da Angela Merkel, portano a Berlino ingenti flussi e scambi proprio con la Cina. Ciò vale, chiaramente, anche per il settore automobilistico. E, rispetto all’ipotesi di innalzamento dei dazi, già a maggio, Bmw, Volkswagen e Mercedes hanno fatto sapere di essere scettiche, se non apertamente contrarie, a un ritorno del protezionismo in Europa. Lamentele di cui si era già fatto portavoce il cancelliere Olaf Scholz che aveva tentato di difendere il rapporto (privilegiato) tra l’Ue (o meglio la Germania) e il mercato asiatico. E che sono state ribadite, con veemenza, dal ministro ai Trasporti tedesco Volker Wissing: “I dazi punitivi della Commissione europea si ripercuotono sulle imprese tedesche e i loro prodotti di punta. I veicoli devono diventare più economici attraverso una maggiore concorrenza, mercati aperti e condizioni di localizzazione significativamente migliori nell’Ue, non attraverso guerre commerciali e preclusioni di mercato”. Viceversa, la Francia di Renault e Stellantis (che pure in Cina ha tessuto alleanze e cointeressenze) si è detta più che favorevole alla “chiusura” delle frontiere, insieme alla Spagna. La posizione del governo svedese è, se possibile, ancora più delicata: il colosso nazionale Volvo è di proprietà (all’82%) dei cinesi di Geely, che hanno investito nell’elettrificazione del marchio. Insomma, si prepara una nuova, l’ennesima, tensione all’interno della dis-Unione europea.
Intanto, dalla Cina, arrivano parole preoccupate e dure. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Li Jian, ha promesso che “la Cina adotterà tutte le misure necessarie per salvaguardare fermamente i suoi diritti e interessi legittimi”. E ha bollato l’idea di alzare i dazi come “una scusa per imporre tariffe aggiuntive sui veicoli elettrici importati dalla Cina, il che viola i principi dell`economia di mercato e le regole del commercio internazionale; danneggia la cooperazione economica e commerciale Cina-Ue e la stabilità della produzione e della catena di fornitura automobilistica globale; in ultima analisi, danneggerà gli interessi stessi dell’Europa”. La conclusione del ragionamento, pertanto, appare ovvia: “Il protezionismo non ha futuro e la cooperazione aperta è la strada giusta. L’Ue rispetti il suo impegno a sostenere il libero scambio e ad opporsi al protezionismo, e a lavorare con la Cina per salvaguardare la situazione complessiva dell’economia Cina-Ue e la cooperazione commerciale”.
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