Auto cinesi in Italia: a che punto siamo?
Automotive: a che punto siamo in Italia, perdurando la crisi dei brand italiani ed europei, con l’arrivo delle auto cinesi? Se ne è discusso al ForumAutoMotive di Milano in un talkshow che ha visto confrontarsi esperti e manager sulle opportunità di sviluppo aperte dall’arrivo delle vetture elettriche sul mercato europeo.
Sul tema dei mezzi pesanti è intervenuto Massimo Artusi, presidente di Federauto: “Ci sono già oggi diverse proposte di camion cinesi di buona qualità anche in termini di sicurezza- sul mercato europeo. Nei prossimi anni l’offerta in questo campo tenderà a crescere. Una storia diversa riguarda poi l’industria dei pullman elettrici su cui gli asiatici hanno scommesso molti anni fa: per questo tipo di segmento di mercato la tecnologia elettrica può essere particolarmente efficace”. Paolo Daniele Cirelli, presidente di Cirelli Motor Company, ha avanzato una riflessione sul “complesso processo di omologazione di questi mezzi sul mercato europeo, nel rispetto di numerose normative che in alcuni casi comportano piccole modifiche delle vetture. Il cliente finale inizia ad apprezzare queste auto. Le linee cinesi sono sempre più simili a quelle europee, proponendo un rapporto qualità/prezzo particolarmente vantaggioso per il cliente”.
Da Francesco Cremonesi, direttore della Comunicazione di Omoda Jaecoo Italia (Gruppo Chery) la considerazione circa il fatto che “per incrementare la penetrazione nel mercato la soluzione è quella di partire con prodotti a benzina, implementando poi nel tempo l’offerta. Sono certo che il tema dei dazi può essere un ostacolo temporale, ma non in un programma a lungo periodo. Per il posizionamento di impianti produttivi, e non solo, in Italia, si pensa a un polo che si aggiunga a quello spagnolo, ma bisogna vedere l’andamento del mercato”. La parola, poi, a Bruno Giovanni Mafrici, ceo di Car Mobility srl e di DF Italia, che ha chiarito come “il post vendita ha infatti un ruolo essenziale per una maggiore diffusione di questi veicoli. I marchi cinesi hanno appreso molto bene come si fanno le auto e oggi presentano un prodotto di elevata qualità con un’ottima tecnologia”.
Commenti, circa l’insidia della manovra cinese anche da Camillo Piazza, presidente di Class Onlus che ha denunciato l’assenza di “una politica industriale di governo. Abbiamo perso la battaglia con la Cina, 2 milioni di auto cinesi in Europa sono troppe. I fondi del Pnrr sono stati spesi dai Comuni per l’acquisto di bus elettrici e sono andati tutti all’estero, nemmeno un centesimo all’industria italiana” E poi, “L’Italia oggi non ha un peso specifico nelle decisioni in Europa. Costruire un’auto elettrica costa molto meno che produrne una con motore termico, ma in Europa costa il 6’% in più. I dazi non serviranno a nulla. Non fossilizziamo il dibattito su auto elettriche o non elettriche” mentre, in totale antitesi, Andrea Taschini, manager con numerose esperienze nell’automotive ha inteso denunciare che “Il Green Deal europeo è una grande burla, avrebbe senso se lo facesse l’Asia, che rappresenta il 64% delle emissioni a livello mondiale. L’Europa è invece il Paese meno competitivo, l’energia costa il 158% in più. Oggi siamo su un binario morto, tutto il Green Deal, dai pannelli solari alle pale eoliche, è basato su prodotti che arrivano dalla Cina e ad aprile ha chiuso l’ultima fabbrica tedesca che produceva pannelli solari. Ogni continente dovrebbe usare i materiali che ha: il materiale più importante per produrre batterie non è il litio ma la grafite. E il 97% della grafite nel mondo è controllata dalla Cina. In Europa, invece, non è possibile scavare e nemmeno raffinare i metalli”.
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