Attualità

Aumento degli stipendi ai ministeriali, ennesima ingiustizia ai danni dei cittadini

di Gaetano Masciullo -


Il recente decreto legge sulla Pubblica Amministrazione ha stanziato ben 190 milioni di euro all’anno per incrementare i contratti integrativi dei dipendenti ministeriali. Questo fondo, inizialmente destinato agli statali che non hanno un contratto fisso (come docenti, militari e magistrati), garantirà un aumento medio di circa mille euro lordi annui per ogni dipendente dei ministeri. In pratica, si sono tolti soldi a chi ha meno tutele per darli a chi è già ben protetto. L’obiettivo dichiarato è quello di rendere più simili gli stipendi extra (i cosiddetti “trattamenti economici accessori”) dei dipendenti pubblici, cioè quei compensi aggiuntivi oltre lo stipendio base, cercando così di ridurre presunte disuguaglianze esistenti tra ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici come INPS e INAIL.

Questa misura, che andrà a regime da quest’anno, non solo alimenterà un ulteriore incremento degli stipendi nei ministeri, ma sancirà ancora una volta l’esistenza di una casta burocratica privilegiata a discapito di cittadini e imprese, costrette a sostenere il peso di una pressione fiscale asfissiante e di un’economia stagnante.

Lo stato, con le sue ragnatele burocratiche, è una vera e propria classe sociale ed economica, anzi la Nuova Classe dominante, secondo la definizione dello storico e sociologo jugoslavo Milovan Đilas. Mentre gli imprenditori, i lavoratori autonomi e i dipendenti del settore privato devono affrontare difficoltà sempre maggiori per rimanere a galla, il settore pubblico si autofinanzia con risorse estorte attraverso la tassazione. Questa misura, infatti, non è altro che un nuovo balzello imposto ai cittadini, un trasferimento di ricchezza dai produttori di valore reale ai burocrati, il cui stipendio è garantito indipendentemente dalla produttività.

La retorica che lo stato sia la somma di tutti i cittadini è una menzogna. Lo stato moderno è una macchina parassitaria, che si sostiene e si alimenta attraverso la spoliazione sistematica dei cittadini. Questo incremento degli stipendi per i dipendenti ministeriali non è solo un’ingiustizia economica, ma il sintomo evidente di una società in cui il potere è sempre più accentrato nelle mani di una casta di funzionari, mentre le altre classi sociali vengono ridotte a sudditi.

La classe imprenditoriale italiana, il vero motore dell’economia, è invece schiacciata da un carico fiscale insostenibile, da una burocrazia soffocante e da un’incertezza normativa che rende impossibile qualsiasi programmazione a lungo termine. L’Italia ha uno dei livelli di tassazione più alti in Europa (si prevede che rimarrà tale almeno fino al 2027, nonostante gli sforzi dell’attuale governo) e gran parte di questi tributi serve a finanziare proprio la macchina pubblica. Questo significa che, mentre il settore privato deve lottare ogni giorno per sopravvivere, il settore pubblico riceve continui aumenti retributivi senza che vi sia alcuna correlazione con il merito o la produttività.

Anzi, se guardiamo all’efficienza della pubblica amministrazione italiana, troviamo un quadro desolante: ritardi, inefficienze, sprechi e un livello di digitalizzazione arretrato rispetto agli standard europei. Eppure, nonostante queste criticità, la priorità del governo sembra essere quella di premiare proprio coloro che sono parte di questo sistema inefficiente e autoreferenziale.

C’è una differenza inaccettabile tra la classe burocratica e il resto della popolazione. Mentre il governo aumenta gli stipendi dei dipendenti ministeriali, milioni di italiani devono fare i conti con il caro vita, l’inflazione e la difficoltà di arrivare a fine mese. Le piccole imprese chiudono, i giovani emigrano alla ricerca di opportunità all’estero, il ceto medio si assottiglia sempre di più. La pandemia, la crisi energetica e le politiche fiscali dissennate hanno già messo in ginocchio il tessuto produttivo del Paese, eppure la risposta ricorrente delle istituzioni è ancora una volta quella di garantire privilegi alla macchina statale.

Questo divario tra la Nuova Classe burocratica e il resto della popolazione non è solo economico o politico, ma anzitutto culturale. Eppure, moltissimi italiani faticano ad accettare questa fondamentale verità, forse perché, in un modo o nell’altro, tutti siamo più o meno invischiati in questa grande macchina improduttiva. L’idea che lo stato debba garantire tutto a tutti, che la spesa pubblica sia una panacea per ogni problema, è infatti profondamente radicata nella nostra mentalità collettiva. L’assistenzialismo di stato ha creato una popolazione sempre più dipendente, incapace di concepire un modello alternativo basato sulla responsabilità individuale, sulla libertà economica e sulla riduzione del perimetro pubblico.

Prima ancora che un cambiamento politico, è necessario un cambiamento di mentalità. Bisogna smettere di accettare passivamente questa spoliazione e iniziare a pretendere un’inversione di rotta. Bisogna comprendere che ogni euro speso per ingrassare la macchina statale è un euro sottratto alla crescita, al benessere e alla libertà dei cittadini. Bisogna diffondere una nuova consapevolezza economica e sociale, che rimetta al centro il cittadino e riduca il potere della Nuova Classe. Se vogliamo davvero un’Italia prospera e libera, dobbiamo rompere questo meccanismo perverso. 

Questo cambiamento non avverrà dall’alto. Nessun governo riformerà davvero il sistema, perché chi detiene il potere non ha alcun interesse a rinunciarvi. Il cambiamento deve partire dal basso, dalla consapevolezza dei cittadini, dalla loro volontà di reagire a questo stato di cose. Solo così potremo sperare in un futuro in cui l’Italia torni ad essere una terra di opportunità e di libertà, e non un feudo della Nuova Classe.


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