“Non abbiamo alcuna informazione sull’eventuale costituzione come parte civile del governo nel processo per l’omicidio del mio Luca”. A confermare quello che, nel caso migliore, sembra un cortocircuito istituzionale è Salvatore Attanasio, il padre dell’ambasciatore italiano ucciso in Congo il 22 febbraio 2021, nel corso di un’imboscata nella quale morirono anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo. Se sul fronte congolese il capitolo giudiziario è già chiuso, con la condanna dei sei assassini ad altrettanti ergastoli, lo stesso non può dirsi per il filone italiano, che si apre non certo sotto una buona stella. Oggi, infatti, davanti al gup di Roma inizia il processo per omicidio colposo a Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, i due organizzatori della missione umanitaria finita con l’uccisione di Attanasio e del carabiniere della scorta. In questa prima udienza il giudice accoglierà le istanze della costituzione delle parti civili al dibattimento, tra le quali è prevista quale parte offesa anche la Presidenza del Consiglio, come riporta il decreto di fissazione. Dunque il governo, avendo perso nell’assalto mortale due servitori dello Stato, dovrebbe costituirsi contro i due imputati, come d’altronde ha già fatto nel processo principale davanti al tribunale militare di La Gombe, che, nell’infliggere gli ergastoli al commando di rapinatori rei di aver ammazzato Attanadio e Iacovacci, ha anche riconosciuto al nostro Paese una provvisionale di due milioni di dollari in via equitativa. Il padre dell’ambasciatore, che non ha mai creduto nella ricostruzione dei fatti accertata dalla magistratura congolese, ha sempre sperato che il processo di Roma avrebbe potuto chiarire una serie di circostanze e responsabilità, che vanno al di là delle pene per chi ha sparato, ma che riguardano la gestione di quella missione, che avrebbe dovuto portare Attanasio da Goma a Rusthuru per un’ispezione al progetto del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), finanziato dall’Italia, e che invece si è conclusa con l’uccisione sia dell’ambasciatore che del carabiniere, mandati senza protezione in una zona notoriamente pericolosa a causa degli assalti armati di miliziani e rapinatori. La Presidenza del Consiglio ha avuto diversi mesi per preparare l’istanza in vista dell’udienza di oggi al Tribunale di Roma, ma finora non ha preso una posizione ufficiale. Palazzo Chigi, a poche ore dalla scadenza dei termini di costituzione delle parti civili, non ha infatti ancora sciolto il nodo a causa dei silenzi della Farnesina, titubante sul da farsi, probabilmente perché alla sbarra ci sono due diplomatici. Eppure, più che i rapporti istituzionali e la prospettiva di un risarcimento danni, l’istanza ha certamente un valore simbolico, è il segnale che una nazione non gira la testa dall’altra parte di fronte all’omicidio di due servitori dello Stato ammazzati nel compimento del servizio. Motivo per il quale il ministero della Difesa, negli ultimi tempi, ha preso invece una posizione chiara, con Guido Crosetto fermamente convinto a costituirsi parte civile nel dibattimento, perché pretende piena luce sull’assassinio del carabiniere. E di queste intenzioni non ne ha fatto mistero nemmeno con Salvatore Attanasio, che fino all’ultimo spera in una discesa in campo della Presidenza del Consiglio, in modo che sia al fianco delle famiglie nel percorso verso la giustizia e la verità per Luca. Invece finora il silenzio più totale delle Istituzioni non ha fatto altro che provocare un senso di solitudine che, a meno di colpi di scena, sarà difficile colmare. È pur vero che il cortocircuito generato dalle incertezze tra Esteri e Difesa potrebbe essere superato con gli strumenti del codice di procedura penale, che consente la costituzione di parte civile anche al singolo ministero e non esclusivamente alla Presidenza del Consiglio. Pur tuttavia una scelta simile rappresenterebbe una sgrammaticatura istituzionale e un messaggio fuorviante alle famiglie delle vittime, perché farebbe emergere l’idea che l’Italia sia mal disposta a impegnarsi ufficialmente nel percorso di giustizia per Attanasio e Iacovacci. La questione si risolverà oggi, con l’apertura dell’udienza davanti al gup, l’ultima chance per lo Stato italiano per presentarsi come parte civile contro Leone e Rwagaza. I due imputati, quasi certamente, non saranno presenti, visto che hanno già dichiarato di volersi appellare all’immunità diplomatica, un altro dei nodi da sciogliere. Per l’accusa i due dipendenti Onu sarebbero rei di omicidio colposo per aver omesso e falsificato le procedure necessarie a proteggere l’ambasciatore italiano nell’area del Congo notoriamente pericolosa. Non solo avrebbero presentato la richiesta di autorizzazione di quel viaggio finito nel sangue solo 12 ore prima della partenza anziché 72, come da protocollo. Ma per ottenere rapidamente il permesso, avrebbero addirittura falsamente indicato i nomi di due dipendenti del personale Pam al posto di quelli di Attanasio e Iacovacci. E, condotta ancor più grave, non avrebbero informato cinque giorni prima la forza di pace Monusco, che predispone scorte armate e veicoli blindati nelle zone a rischio, lasciando così Attanasio e Iacovacci al loro destino, senza protezioni e nel mirino degli assassini.