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Appalti truccati: arresti per un generale dei Cc, perquisizioni al Mit, il bagno nel Dom Perignon

di Angelo Vitale -

Il generale dei Cc Oreste Liporace


Corrotto con denaro, regali di lusso, favori di vario tipo: questa l’accusa che ha portato agli arresti domiciliari un generale dei carabinieri a Milano all’attuale esito di una inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano e del pm milanese Paolo Storari che ha prodotto l’ordinanza di arresti domiciliari a carico del generale Oreste Liporace, già comandante dei carabinieri del secondo reggimento allievi, marescialli, brigadieri di Velletri in provincia di Roma e poi direttore dell’Istituto Alti Studi della Difesa. L’accusa: corruzione, turbativa e false fatture su un appalto da quasi 700mila euro per servizi di pulizia della caserma affidato, fino al 2021, all’impresa Fabbro.

Stando all’ordinanza del gip Domenico Santoro, il generale sarebbe stato corrotto con 22mila euro, borse di lusso, noleggi auto, biglietti per lo stadio Olimpico e per la Scala di Milano. Agli arresti domiciliari è finito anche Ennio De Vellis, “imprenditore collegato” a Liporace, ma anche agli imprenditori e fratelli Massimiliano e William Fabbro della Fabbro spa, indagati. Un’inchiesta che deriva quella per corruzione che in passato a Milano aveva portato all’arresto di Massimo Hallecker, manager di Fiera Milano spa accusato di aver pilotato tre appalti milionari, scattata proprio dalla denuncia di quest’ultima società.

In quell’occasione, dall’indagine erano già venute a galla nel 2022 le “figure degli imprenditori” Fabbro. Ed è emersa, poi, una “relazione” di interessi tra i due fratelli Fabbro e il generale Liporace, documentata anche da “chat acquisite” nel corso delle investigazioni.

 Emerso pure, attualmente al vaglio degli inquirenti, un presunto traffico di influenze illecite in relazione alla “promessa”, non “concretizzata”, di “far ottenere” alle società del gruppo Fabbro nel 2022 “appalti all’interno del Vaticano”, ma anche uno gestito dai Frati Francescani: iniziative non andate in porto dopo il tentativo di “agganciare” il segretario particolare di un cardinale, Francesco Coccopalmerio, già vescovo ausiliario di Milano e presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. E, con le stesse modalità, “un appalto triennale” nel 2020 da 15 milioni di euro “per il servizio di ristorazione presso alcune sedi della presidenza del Consiglio dei Ministri”, “effettivamente ottenuto” dalle società dei fratelli Fabbro. Nella lente dell’inchiesta, in proposito, una “mediazione” di 165mila euro pagata dai Fabbro a De Vellis per entrare nel novero delle aziende concorrenti all’appalto per 15 milioni di euro del Dis, il Dipartimento di Sicurezza da cui dipendono gli 007.
   
L’Arma dei carabinieri ha già sospeso con effetto immediato Oreste Liporace, mentre sono in corso perquisizioni del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano a carico di 22 persone e di uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Centro Alti Studi Difesa, del Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per il Lazio, Abruzzo e Sardegna.

Tra gli indagati, un dirigente del Mit, nell’inchiesta figura centrale del “sistema” che faceva capo a De Vellis. Un meccanismo sulla base del quale l’imprenditore Ennio De Vellis – che si occupa soprattutto di logistica e oggi finito ai domiciliari così come il generale dei carabinieri Oreste Liporace – “si accaparra le commesse” del ministero delle Infrastrutture. Così, nell’ordinanza del gip Domenico Santoro, eseguita nell’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf e del pm di Milano Paolo Storari. Sarebbe stato lo stesso Lorenzo Quinzi, indagato e dirigente del ministero, ad “esternare” con le sue parole intercettate la “esistenza” di questo meccanismo. In un’intercettazione del gennaio scorso diceva: “Su quella ditta, gli abbiamo già dato un sacco di roba! No? C’abbiamo la somma urgenza di là, la somma urgenza di qua (…) il capo è sempre uno! Allora se poi lui fa storie (…) la firmo io, non ti preoccupare”. Il riferimento era agli “atti di determina”, si legge nelle carte, su servizi “di facchinaggio e ‘bandiere'”. Dalle intercettazioni emerge, tra l’altro, che Quinzi si sarebbe rapportato anche con una serie di altri funzionari e dirigenti del Ministero, i cui nomi sono citati nell’ordinanza.

“Mi prendo in affitto sto palazzo qua (…) perché devo trasferire 700 persone”. Videoregistrato dagli investigatori all’interno del suo ufficio del ministero delle Infrastrutture, Lorenzo Quinzi, dirigente del Mit indagato nell’inchiesta milanese su presunti appalti truccati, parlava con l’imprenditore Ennio De Vellis il 6 marzo scorso. Il tema del “bando pubblico relativo al servizio di trasloco di 750 dipendenti del Mit”, infatti, come si legge nell’ordinanza, è uno degli ulteriori approfondimenti investigativi in corso nell’inchiesta del pm Paolo Storari, radicata per gli arresti come competenza territoriale a Milano, perché l’ultima “utilità” ottenuta dal generale dei carabinieri Oreste Liporace, arrestato, sarebbe stata l’acquisto a Milano di un biglietto per il Teatro alla Scala.

Per gli inquirenti, Quinzi avrebbe voluto “veicolare gli affidamenti” del Mit “a favore delle società di De Vellis”, anche per il trasloco dei dipendenti, “in cambio di utilità di varia natura”. Prima di iniziare a parlare nel suo ufficio con l’imprenditore, si legge, “l’alto dirigente” avrebbe tirato fuori “dal taschino” della giacca il telefono e lo avrebbe messo nel “cassetto della scrivania”. E l’altro gli avrebbe detto: “Io l’ho messo, l’ho lasciato in macchina”. Nelle intercettazioni anche i rapporti confidenziali tra De Vellis e Quinzi con il primo che diceva all’altro “ci facciamo una bella mangiata, poi gli inviti falli tu (…) facciamo un’ammucchiata tutti quanti”. E Quinzi: “Noi c’abbiamo pendenze, fatture te le abbiamo pagate tutte?”. E ancora: “Poi magari mi fai un lavoretto quando mi serve”.

Poi, altre intercettazioni anche sull’appalto per il trasporto dell’orologio del Mit, con De Vellis che parlava così: “gli dici ‘guarda che il trasporto lo deve fare De Vellis'”. E ancora le conversazioni sul bando, a firma di Quinzi, pubblicato il 15 marzo scorso sul sito del Mit per la ricerca di un immobile dove trasferire i 750 dipendenti. E De Vellis che offriva, scrive il gip riportando gli atti del pm, “prontamente” la “disponibilità delle sue imprese”.

Si incontravano nei esclusivi hotel e ristoranti di Roma, Milano e Padova il generale dei carabinieri Oreste Liporace e gli imprenditori indagati nell’inchiesta della procura di Milano per traffico di influenze illecite, emissione di fatture per operazioni inesistenti, corruzione e turbata libertà degli incanti.

Quando Liporace nel dicembre 2020 viene avanzato al grado di generale, uno degli imprenditori indagati si complimenta per messaggio e rilancia con il “prossimo bagno della greca (il simbolo dei gradi di generale, ndr) con Dom Perignon Vintage 2009”. “Raffinato e amico! Ma soprattutto presente nei momenti importanti!”, risponde il neo generale, ora sospeso dall’Arma.

Un anno prima, nel dicembre 2019, quando insieme alla moglie e alle figlie, a cui sarebbero state destinate – secondo gli inquirenti – le borse Louis Vuitton ricevute dal padre, Liporace trascorre tre giorni a Milano, ospite in un hotel esclusivo nel pieno centro della città. Soggiorno costato oltre 3.000 euro, metà dei quali pagati in contanti.


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