Salute

Antonio, come ti rimetto in piedi il cane “Ma non chiamatemi medico dei miracoli”

di Redazione -


Far ritornare ad una vita normale: far ricamminare gli animali.
Restituire loro la possibilità di riprendersi la qualità di vita che meritano.
Una realtà quotidiana grazie all’abilità del chirurgo Antonio Filippi: classe ’79, nato a Pordenone, cresciuto in provincia di Padova, specialista in neurochirurgia. Vive a Mestre e lavora nel Triveneto (clinica Concordia a Portogruaro e clinica Ai Laghetti a Maerne, Venezia) con équipe di alto livello. Rifugge dai titoli enfatici, sebbene il suo nome transiti in varie parti del nord Italia e non solo, e preferisce restare ancorato all’aspetto pragmatico.
Dopo la tesi di laurea al Lincoln Park zoo di Chicago entra in contatto con la realtà della veterinaria americana e inizia a coltivare la sua passione per la chirurgia e per il contatto stretto con gli animali.
In Italia svolge periodi di lavoro e tirocinio prima a Roma poi a Milano, affinando così le conoscenze veterinarie e chirurgiche. Lavora in diverse cliniche nel triveneto occupandosi in maniera sempre più specifica di chirurgia ed in particolare di neurochirurgia e ortopedia. È socio attivo della società di Neurologia veterinaria e della Società di ortopedia veterinaria.

 

Dottore, la sua fama si estende oltre il Triveneto…
“Non mi sento e non sono un medico dei miracoli, faccio solo il mio lavoro”.

Come si sente a ridare nuove possibilità a cani rimasti immobili, tetraplegici per ernie o altri eventi estremi?
“Non è una vittoria alla lotteria…, nel senso che è questo lavoro a portare quel risultato. Non posso negare comunque che sia estremamente soddisfacente rimettere in piedi cani che non camminano più e soffrono, ma nessun eroismo per carità”.

 

Quali sono gli interventi più frequenti?
“Interventi di ernia. L’80 per cento riguarda bassotti e bulldog francesi, le razze più predisposte a questa malattia che è principalmente genetica”.

Quale il discrimine fra operare o trattare farmacologicamente?
“Chi è responsivo alla terapia medica la mantiene, chi non lo è viene sottoposto alla chirurgia. Ricordo che l’ernia nel cane è principalmente di carattere chirurgico contrariamente a quanto avviene in medicina umana. La chirurgia permette di avere un cane di nuovo sano se il danno non è enorme”.

 

Qual è stata la sua sfida più grande?
“Non solo una, tantissime… Ricordo Kyno, un jack russell di 10 anni, in coma dopo un tumore cerebrale. Cerco sempre di trovare la soluzione migliore assieme ai proprietari. Molti si affidano a me. Ebbene, dopo la chirurgia Kyno si riprese ottimamente e visse tre anni e mezzo. Un altro caso, recente, riguarda un cane meticcio, Sparky, che ho operato l’anno scorso, dopo quasi due mesi di immobilità per colpa di due ernie: ebbene l’intervento non solo era rischioso ma soprattutto non potevo dare alcuna percentuale di successo… In questi casi serve sempre un proprietario o una proprietaria che siano disposti ad affrontare un percorso che spesso non è possibile stabilire a priori. Ebbene, Sparky riprese a camminare…Anche il ruolo del proprietario, ribadisco, è fondamentale. Come lo è l’équipe con cui lavoro, composta da anestesisti e altri colleghi naturalmente”.

 

I costi, spesso, sono proibitivi…
“Un’ernia del disco, mediamente, in Italia costa 2 mila euro (intervento standard, per un bassotto), in Inghilterra dai 6 agli 8 mila euro”.

Le è mai capitato che i proprietari si tirino indietro per un discorso economico?
“Purtroppo capita spesso, sì, perché non possono o non vogliono impegnarsi e molto spesso questo comporta che quell’animale che avrebbe avuto una chance sia condannato a non averne”.

 

La soluzione potrebbe passare per una sorta di Mutua nazionale per gli animali d’affezione?
“La Mutua è un po’ complessa come idea, probabilmente i cani anziani non verrebbero forse nemmeno curati. Per quanto riguarda gli animali dello Stato, quelli che vivono nei ricoveri e nei canili, è giusto fornire una medicina di livello più alto. Alla clinica Concordia pratichiamo il 20 per cento di sconto sugli animali portati dalle associazioni, cerchiamo di venire incontro ma ovviamente non possiamo lavorare gratis. Invece per gli animi privati io vedo una sola soluzione”.

 

Quale?
“Assicurarli. Al momento soltanto il 10 per cento di tutti gli interventi che eseguo è coperto, in parte, dalle compagnie. Secondo me si deve spingere verso questa cultura: quando decidi di prendere un cane, devi automaticamente assicurarlo. In questo modo certi proprietari non sarebbero costretti a prendere decisioni che vanno a ledere il miglior interesse dell’animale per questioni economiche. Purtroppo ci capitano anche cuccioli con prognosi buone, ma i proprietari non intendono spendere. Può essere comprensibile solo di fronte ad un paziente molto anziano, con prognosi incerta, ma non certo di fronte a cuccioli o cani giovani. Alle volte mi capitano associazioni che domandano preventivi e poi lanciano raccolte-fondi, ma ovviamente non è una strada strutturata, è lasciata al buon cuore…”.

 

Come si immagina il suo lavoro nei prossimi 5 anni?
“Vedremo…ci sono tanti progetti…in realtà professionalmente ho realizzato quello che mi ero progettato di fare. I prossimi step saranno dedicati alla chirurgia mini-invasiva e quindi all’uso del microscopio operatorio e all’artroscopia”.

Cambierà la chirurgia prossimamente?
“Siamo indietro di 10 anni rispetto alla medicina umana per una questione di budget”.

Potrebbe essere introdotto il robot?
“Per una questione economica non credo, determinerebbe un costo più alto degli interventi. Si tratta di milioni. Certo che se 10 anni fa mi avessero chiesto che cosa pensavo della laparoscopia, avrei detto che sarebbe stato troppo oneroso introdurla, e invece adesso è usata di routine”.

Il dottor Filippi e l’eutanasia: fermarsi o tentare fino alla fine?
“Il tema è molto delicato. Secondo me l’eutanasia non va mai fatta con leggerezza, né chiesta con leggerezza. È una grande opportunità per fermare sofferenze inutili, tuttavia scegliere il momento giusto è molto complesso, secondo me va scelto con estrema cautela. Tendenzialmente se riesco a procrastinare… procrastino. La differenza con l’essere umano (premetto che sono favorevole nell’uomo) risiede nella coscienza e consapevolezza che noi possediamo rispetto all’animale. Devo essere sincero, forse con un mio cane sono andato troppo oltre e forse ho sbagliato. Se la malattia è senza risoluzione o l’invecchiamento è avanzatissimo”.

Qualche insuccesso?
“Ne ho molti: la gran parte rientra nelle complicanze chirurgiche. Come per l’essere umano, anche in medicina veterinaria non esiste un intervento chirurgico con la garanzia del 100 per cento di successo. Ricordo che il 20 per cento delle ernie che si operano avranno una recidiva. Fra gli insuccessi annovero anche il non riuscire sempre a convincere i proprietari a prendere certe decisioni che potrebbero cambiare la qualità di vita dei loro amici animali. Due mesi fa ho operato un pastore tedesco per una frattura del femore: dopo due settimane ha inseguito il gatto e ha rotto tutti gli impianti. È stato rioperato e adesso, per tenerlo calmo, è sotto sedativi. Si sa che che rioperare è meno efficace del primo intervento”.

Il dottor Filippi e i suoi cani: che cosa ci può raccontare?
“Ho sempre avuto cani dai recuperi di persone che facevano fatica a saldare le spese o non potevano occuparsi più di loro. Ricordo con estrema simpatia un cane che recuperai, si chiamava Benito, era un carlino affetto da una malformazione spinale: si affezionò terribilmente prima a me e poi a quella che sarebbe diventata la mia futura moglie e in pochi giorni si adattò perfettamente alla nuova vita. Verso la fine si muoveva con un carrellino. Visse fino ai 12 anni. Poi ricordo Susy, meticcia: era vecchissima, non era più cosciente e non era più lei, non riconosceva più le persone, era sofferente, senza più una qualità di vita accettabile. Morì a 13 anni. Adesso ho Berta, 12 anni, un bassotto, già operato di ernia”.

Dalla sua esperienza il carattere degli animali domestici rispecchia quello dei proprietari?
“Si crea una simbiosi molto forte fra cane e proprietario, quindi inevitabilmente arrivano ad assomigliarsi”.

Ha mai pensato di andare all’estero?
“Sì, molti miei colleghi sono andati all’estero e, in effetti, le condizioni lavorative sono migliori. Tuttavia ho avuto buone opportunità anche in Italia e ‘farcela’ qui l’ho presa come una sfida.Tra l’altro adoro il nostro paese e non riuscirei ad andarmene per sempre”.


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