Sdraio e ombrelloni chiusi allo stabilimento Belsito di Ostia che aderisce allo sciopero dei balneari, Roma, 9 agosto 2024. ANSA/CLAUDIO PERI
Basta tergiversare: l’Antitrust striglia i Comuni sulle concessioni ai balneari e individua nelle nuove gare, da indire al più presto possibile, la strada da seguire. L’autorità garante per la concorrenza e il mercato entra a gamba tesa nel dibattito dell’estate. E, a distanza di pochi giorni dal primo (e finora inedito) “sciopero degli ombrelloni” ribadisce l’importanza di evitare “ulteriori proroghe e rinnovi automatici” sul fronte delle concessioni demaniali.
L’Antitrust, nel bollettino settimanale, fa subito chiarezza strigliando, per primi i Comuni: “Molte amministrazioni hanno deciso di adottare provvedimenti di proroga al 31 dicembre 2024 delle concessioni demaniali in questione ma nei propri pareri motivati, l’Autorità ha ritenuto che le amministrazioni concedenti avrebbero dovuto disapplicare la normativa nazionale posta a fondamento dei provvedimenti di proroga”. E avrebbero dovuto farlo, spiegano dall’Agcm, perché le leggi nazionali risultano in netto “contrasto con i principi e con la disciplina euro-unitaria della cosiddetta Direttiva servizi”, meglio nota nel dibattito pubblico come direttiva Bolkenstein. Tirata d’orecchi anche sulla scelta di procedere alla “proroga in favore dei precedenti concessionari” che, come rileva l’authority, oltre a violare la stessa direttiva risulterebbe “elusiva della scadenza del 31 dicembre del periodo transitorio indicato dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato”. Insomma, c’è poco da continuare a discutere. L’Antitrust ritiene che sia giunto (finalmente) il momento di mettere a bando le spiagge e di avviare, quindi, le gare. La palla, adesso, passa al governo dal momento che i Comuni chiedono linee guida uniformi per evitare che l’indizione delle stesse gare possa tramutarsi in un ricorso di massa ai tribunali amministrativi regionali di tutta Italia. Già, perché ogni ente locale rischia di farsi il bando a modo suo e ciò potrebbe confliggere con regole e principi base della pubblica amministrazione. A cominciare dall’uniformità dei trattamenti.
La vicenda è complessa ed è importante. Perché il comparto balneare rappresenta una delle voci più preziose del fatturato turistico italiano. Stando, infatti, alle previsioni dell’osservatorio Panorama Turismo – Mare Italia di Jfc, il giro d’affari tra ombrelloni, rotonde, sdraio, parcheggi e mojito superare i 33 miliardi di euro. Ma non basta. Già, perché i prezzi sono rincarati e parecchio. Anche grazie alla rinnovata crescita della domanda da parte dei turisti stranieri. Loro sì disposti a spendere tanto per sdraiarsi sul bagnasciuga. Per le famiglie, però, passare una giornata al mare sta diventando un problema, un lusso. E pertanto sono sempre di più gli italiani che pensano ad alternative. È, questo, uno degli effetti del fenomeno dell’overtourism di cui si parla tanto in quest’estate di affari e veleni. Anche perché, come ha ribadito la stessa Antitrust, le spiagge italiane non sono infinite ma, anzi, rappresentano una risorsa limitata anzi “scarsa”. Detta così, per una Penisola bagnata da tre mari, sembra un po’ una boutade. Ma, a leggerla meglio, non è affatto così. “Il concetto di scarsità deve essere interpretato in termini relativi e non assoluti, – spiegano dall’Antitrust – tenendo conto non solo della quantità del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti”. E ancora: “Ciò considerando che, ancora oggi, i dati del Sistema Informativo del Demanio marittimo – richiamati anche dall’Adunanza Plenaria – attestano l’esistenza di una percentuale di occupazione delle coste molto elevata, viste le zone di spiaggia libera che non risultano fruibili e tenuto conto dei limiti quantitativi massimi di costa che può essere oggetto di concessione previsti in molte Regioni”. La sparizione delle spiagge libere, quindi, ha un peso notevole: “In tale contesto, l’Autorità condivide le conclusioni cui sono pervenuti il giudice amministrativo nazionale e la Commissione europea, secondo cui è evidente l’attuale situazione di notevole scarsità (in alcuni casi inesistenza) che caratterizza le aree demaniali a disposizione dei nuovi operatori; situazione che è ancor più pronunciata se si considerano gli ambiti territoriali comunali o comunque si prendono come riferimento porzioni di costa ridotte”.