Cultura & Spettacolo

André Campra e quel chiaroscuro che lo avvicina a Mozart

di Redazione -


André Campra e quel chiaroscuro che lo avvicina a Mozart
di RICCARDO LENZI

Una messa da requiem che crea atmosfere paragonabili al capolavoro di Mozart, quella di André Campra (1660-1744). E non è affatto escluso che il Salisburghese l’avesse conosciuta, tali sono le affinità, la complessiva visione emotiva. Il doppio cd in uscita da Erato riunisce tre partiture della musica barocca francese interpretate dal coro e dall’orchestra Le Concert d’Astrée diretti da Emmanuelle Haïm: appunto la Messe de Requiem di Campra, “In exitu Israël” di Mondonville e “In Convertendo Dominus” di Rameau. L’opera maggiormente indegna dell’oblio è il Requiem di Campra. La data di composizione è incerta ma, poiché la fuga conclusiva è un’elaborazione di quella che l’autore aveva incorporato in un mottetto del 1723, si può supporre che sia stato creato qualche tempo dopo. Campra era un rinomato compositore provenzale, direttore di coro presso le cattedrali di Tolone, Arles, Tolosa e, infine, Parigi.

Ma non visse di sola musica sacra. L’attività teatrale, iniziata estemporaneamente nel 1697, in tempi di morigerata salvaguardia clericale, gli costò nel 1700 il posto nella cattedrale parigina, ma fece di lui uno dei musicisti più famosi dell’epoca. Tanto che nel 1723 subentrò a Michel-Richard Delalande nel prestigioso ruolo di maestro della Cappella reale e nel 1730 ad André Destouches nella direzione artistica dell’Opéra. Nella Messa da requiem, nel suo affascinante melodizzare, si avverte l’influsso della cantabilità italiana (in qualche misura ereditaria, considerato che il padre era un chirurgo originario dei dintorni di Torino). La composizione si avvale di un coro a cinque parti, archi e basso continuo e si articola in sette sezioni: queste sono ulteriormente suddivise in recitativi, dialoghi, duetti, trii, dove si alternano brani interamente per coro e per solisti in combinazione con il coro, accompagnati da brevi ritornelli strumentali, con una fantasia creativa che vivacizza l’intera partitura, dandogli un portamento più da palcoscenico che da chiesa. Ne troviamo prova, ad esempio, nel “Graduale”, il cui reiterato “non, non”, ricorda un coro del terzo atto della “Medea” di Charpentier. O nella concitata preghiera a inizio dell'”Offertorium”, dove le voci solistiche paiono inseguirsi nel richiedere con afflatus drammatico l’aiuto di “Domine Jesu Christe”. Questo perché Campra era un compositore teatrale di talento e sapeva bene come gestire le componenti di un’elaborata opera sacra in modo colorito e drammatico, con un senso del chiaroscuro che lo fa paragonare al Divino Mozart.

La direttrice francese Emmanuelle Haïm conferma le sue doti di grande protagonista dell’attuale revival del barocco transalpino e pare prediligere i tempi lenti della partitura, ricreando sapientemente l’atmosfera di pacata rassegnazione all’ineluttabile, come avviene nell'”Agnus Dei” o nella dolente introduzione strumentale della messa. Facendo un paragone con un’altra notevole registrazione del Requiem di André Campra, quella curata da Philippe Herreweghe, possiamo notare che forse la seconda rende maggior giustizia musicale alla partitura dell’autore, ma la Haïm riesce in maniera più convincente a suscitare le nostre passioni. La Haïm, ospite delle più importanti istituzioni europee e americane, dirige solitamente senza bacchetta dal clavicembalo o in piedi davanti allo strumento, esaltando ritmi, dinamiche e sonorità tipicamente barocche, e questo senza sacrificare il suono moderno degli strumenti.

Secondo “The Guardian” «sembra essere lì per incanalare le energie dei musicisti, piuttosto che limitarsi a battere il tempo», come a voler dimostrare che la sua arte raggiunge il culmine quando musica e visione teatrale si compenetrano. Pare mirare, mentre dirige, ad abolire le distanze che separano lo spazio riservato all’orchestra dal palcoscenico e dalla platea che ospita il pubblico, fondendo in un tutto unitario musica, rappresentazione e spettatore, ispirata dall’amore per il barocco e dalla “libertà vigilata”, dalle regole che questo prefigge.


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