Ancorati nel presente
Tommaso Cerno
di TOMMASO CERNO
Non sarebbe difficile capire qual è la ragione per cui il Pd cambia segretario praticamente ogni anno, ma non riesce a trovare la strada per costruire un’alternativa alla destra. Sembra sempre girare intorno alle sue parole d’ordine, che fra l’altro negli ultimi anni sono molto cambiate, senza tuttavia sembrare convinto che quella sia davvero la strada. La ragione è semplice. Ed era plasticamente davanti agli occhi di tutti durante la manifestazione in cui Giuseppe Conte e Elly Schlein sono scesi insieme nella stessa piazza.
La sinistra italiana è drammaticamente ancorata al presente. Ogni sua azione e ogni sua parola contestano il fatto del giorno, oppure recuperano, come in una grande nostalgia del passato, gli elettori che in altri tempi erano rimasti convinti. Non c’è ancora nel Pd una lettura dei fenomeni futuri. Non c’è una ricetta che proietti il Paese nemmeno da qui a cinque anni, quando ci saranno le elezioni politiche.
Ci sono grandi proclami contro ipotetiche camicie nere che spuntano da qualche fatto di cronaca, a volte reali a volte inventate, c’è l’eterno ritorno del precariato, come se gli italiani non sapessero che in questi ultimi vent’anni di governo quando il precariato è diventato la norma per i nuovi lavoratori la sinistra praticamente stava sempre al governo, i migranti, un problema identico da almeno 25 anni, che si tenta di usare ogni volta che succede un disastro in mare. Come se nessuno si ricordasse che disastri del genere, perfino molto peggiori, sono successi dal 2000 in poi praticamente ogni anno. E come se nessuno sapesse che non sta all’Italia da sola, non è nelle sue possibilità e nemmeno nei suoi compiti, trovare una soluzione realistica a un problema di cui l’Europa di fatto non si occupa da almeno due decenni.
Quello che invece manca è parlare di progresso. Perché in Italia la sensazione è che l’avanzamento del pianeta, dell’Europa e del nostro Paese, che tutti sappiamo bene essere una strada obbligata, avviene in tempi e modi che portano condizioni di vita peggiori delle precedenti per milioni di persone. E’ questa la ragione politica per cui nella storia, in determinati momenti, masse di popolazione che hanno magari invocato il futuro per molto tempo scelgono di conservare e di non progredire. Ed è quello il momento che l’Europa sta vivendo perché il fronte progressista è troppo legato alla critica dell’istante.
E non è capace invece di trovare le soluzioni per trasformare ciò che sta per arrivare per le nuove generazioni in qualche cosa di virtuoso e non di dannoso per le famiglie. E’ di questo che si deve occupare il nuovo segretario del Pd, non di rincorsa a sinistra o al centro, deve riuscire a spiegare al Paese cosa potrà cambiare davvero perché la distruzione delle nostre certezze, i salari che non sembrano voler più salire, il mondo dove l’energia finché non sarà rinnovabile è troppo cara, il capitalismo in cui i ricchi sono sempre di meno e molto ricchi e i poveri di nuovo sempre di più e molto poveri, possa trovare una declinazione che redistribuisca reddito, speranze, collocazioni nella società.
Se invece il tema sarà dire ancora una volta che siamo meglio degli altri, è molto probabile fare breccia soltanto su quel popolo che ha continuato a votare Partito democratico anche alle ultime elezioni politiche. Un popolo rispettabile, molto ampio, ma incapace di superare il 20% o almeno di non superarlo di quanto basta al Partito democratico per sconfiggere Giorgia Meloni alle Europee e per diventare il primo partito italiano.
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