Politica

Amore segreto

di Edoardo Sirignano -

GIUSEPPE CONTE GIORGIA MELONI


di EDOARDO SIRIGNANO

Si litiga di giorno, mentre la notte si dorme nello stesso letto. È la love story, che va avanti da quando è iniziata la legislatura tra la premier Giorgia Meloni e il capo politico dei 5 Stelle Giuseppe Conte. Se quando l’avvocato di Volturara Appula incontra i giornalisti ne spara di cotte e di crude contro il presidente del Consiglio, nei fatti, i due sembrano avere un feeling naturale. In primavera, d’altronde, si parlava addirittura di un accordo organico.

Amore segreto

Togliere la maschera rossa prima delle europee, comunque, sarebbe molto rischioso per una forza populista che trova l’ossigeno per sopravvivere negli scontenti della sinistra. Ecco perché meglio alla luce girare sotto il braccio del sindacalista Landini o dell’incosciente regina del Nazareno Elly e dopo il tramonto chiudere accordi con i soliti e fidati Fratelli d’Italia. Questi hanno già regalato ai pentastellati, senza nulla in cambio, la Commissione Vigilanza Rai con l’inattesa promozione di Barbara Floridia e hanno consegnato al trombato Alfonso Bonafede un posto tra i laici delle magistrature speciali. L’importate è che tutto si svolga nella massima riservatezza.

Matteo il guastafeste

A rompere le uova nel paniere, a distruggere un copione perfetto che rispecchia il miglior Shakespeare, è il solito Matteo. Quest’ultimo mette appunto sotto i riflettori “il giallo” contenuto nelle recenti scelte della maggioranza. “A Meloni – scrive nell’editoriale, pubblicato sul Riformista – è bastato un Cdm per inanellare scelte talmente superficiali da sembrare, o forse essere grilline”. L’ex sindaco di Firenze, quindi, se la prende con chi lo chiama “stampella”, sottolineando come gli inciuci sono altrove. Renzi spiega come la politica di Palazzo Chigi, soprattutto nell’ultimo periodo, sia improntata al populismo. “Sugli extraprofitti – sostiene il fondatore della Leopolda – la credibilità conquistata sul campo dalla premier è svanita in un lampo nel momento in cui ha firmato un provvedimento perfetto per conquistare il consenso nei sondaggi nazionali e perdere punti di credibilità all’estero. Quando ci sarà tempesta sui mercati, intanto, chi rassicurerà gli investitori? Sulle intercettazioni, poi, il governo ha fatto il contrario di quanto annunciato. La guerra mediatica alle compagnie aeree, infine, ha prodotto sobrie reazioni. È evidente che le tariffe sono cresciute troppo in questi mesi, ma qualcuno pensa che basti un decreto per cambiare tutto?”. Il riferimento è al ministro alle Attività Produttive Adolfo Urso, che qualche giorno fa spiegava come l’obiettivo dell’esecutivo fosse frenare e contrastare le grandi multinazionali. “A quando l’autarchia – ironizza Matteo”.

Giorgia al bivio

Una cosa è certa, non è una bugia se l’ex premier sostiene che le ultime decisioni di Giorgia richiamino più le politiche della sinistra che la rivoluzione liberale, auspicata da qualcuno. Una cosa è certa, la premier si trova sempre più di fronte a un bivio: aggrapparsi ai populismi, sposando le varie crociate contro gli istituti di credito, i paperoni e via dicendo o nei fatti candidarsi a quella forza moderata, in grado di garantire un ceto medio, sempre più indebolito dalla recente crisi. Questo è il vero interrogativo con cui Meloni dovrà confrontarsi nel prossimo autunno. Guardando all’ordinario si potrebbe rafforzare l’intesa con i leghisti (questi già hanno fatto un governo con Conte), in estate spesso traballante, ma allo stesso modo si abbandonerebbero quei responsabili di centro, che invece avevano visto in Giorgia la possibilità per creare un partito conservatore, che fosse solo cattolico, liberale e non più di destra. Una decisione che costerebbe alla politica della Garbatella amici preziosi anche all’interno di Fratelli d’Italia, dove ha un peso rilevante ancora la mozione sovranista. Allo stesso modo, però, continuare con i populismi significa lasciare a Matteo, senza il grande Silvio che tampona, non solo Forza Italia, ma quel mondo di mezzo tra il rosso e il nero, che non riuscendo a trovare nuovi riferimenti, potrebbe scegliere proprio la strada dell’usato sicuro. Un’autostrada per chi, stuzzicato dal francese Macron, non ha mai smesso di sognare un ritorno a Palazzo Chigi, magari stavolta senza i ricatti dei soliti compagni. La svolta rossa di Elly Schlein, d’altronde, non piace a un Pd moderato che sarebbe pronto a sposarsi con chiunque pur di differenziarsi da un Nazareno, molto comunista e poco democristiano.


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