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“Altro che innovazione basta fondi a pioggia”

di Redazione -


Il Sistema Paese non gira bene. E gli ostacoli per le imprese ispirate al fare non mancano. Questo il riflesso delle parole di Paola Veglio, giovanissima ad del Gruppo Brovind nato 36 anni fa a Cortemilia fra le colline dell’Alta Langa, tra le aziende pionieristiche dell’automazione industriale in Italia, oggi leader in Europa, una sede in Brasile, un settore R&D sempre più spinto all’innovazione. “Oggi mi definisco sfiduciata – dice Veglio -. Sono un’imprenditrice che da sempre spende energie per creare valore e dare nuovi impulsi di crescita all’economia locale, ma è sempre più difficile. Manca in Italia un vero e proprio sistema premiante e meritocratico che incentivi le aziende sane, quelle che pagano le tasse, investono e creano benessere. Troppe volte abbiamo visto fondi destinati a pioggia e bandi che poi nell’80% dei casi non sono arrivati allo step successivo a quello della domanda. L’assenza di incentivi per l’indipendenza energetica delle Pmi grazie alle rinnovabili è oggi preoccupante: tutto deve essere basato sull’autofinanziamento delle imprese, senza agevolazioni statali. Le tempistiche burocratiche poi sono sempre più incompatibili con le logiche imprenditoriali. Non possiamo aspettare 6 mesi perché manca un parere dall’istituzione competente, procedure semplici e tecnici pubblici competenti darebbero una nuova spinta alla aziende. Se un’impresa è sana, poi, deve poter accedere al credito agevolato per continuare a investire e crescere”.
“Penso al nostro investimento per un capannone da 11 milioni – spiega -. Ebbene, solo 3 milioni coinvolgono un bando sull’Industria 4.0 cui abbiamo partecipato: è poco. Senza un sostegno alle pmi, l’Italia è destinata a soccombere”.
Un investimento che servirebbe a farsi largo sul mercato estero: “Ci permetterà di produrre i nuovi prototipi brevettati, accolti dagli addetti ai lavori come “rivoluzionari” – precisa -. E di stare al passo con l’evoluzione in Europa: oggi l’85% dei nostri prodotti viene venduto ad aziende italiane che poi li esportano, ma una produzione più sofisticata ci permetterebbe di entrare direttamente nel mercato europeo. Investire oggi, anche se complesso, è necessario per pensare al futuro”.
Un orizzonte vicino e possibile, una CER sul territorio? “Anche qui, da circa un anno, ci scontriamo con normative farraginose, specie quelle che regolano l’ingresso della parte pubblica che vogliamo coinvolgere insieme alla nostra azienda e ad altre 4 del territorio, puntando a partire con un impianto da 450 kW con le installazioni del fotovoltaico sul nostro stabilimento di 10mila metri quadri in ristrutturazione, per arrivare fino a 750/800 kW con quelle delle altre realtà del posto”.
A un’imprenditrice del Nord una domanda sul Sud. Di quali strategie ha bisogno?
“Lavoriamo per le imprese di tutto il Paese – risponde – e quindi anche per quelle del Mezzogiorno. Se c’è crisi ovunque, al Sud ogni suo riflesso è sempre molto più accentuato. Non sono una politica, ma ritengo di poter dire che il problema maggiore del Mezzogiorno sia stato sempre quello di tentare di ridurre la forbice del gap del Pil puntando su strategie quantitative e non qualitative. Troppi fondi nazionali ed europei, in questi decenni, dati a pioggia senza preoccuparsi della bontà e dei risultati dei progetti. Forse, l’unico modo di risolvere il problema sarebbe quello puntare sull’aspetto dei diritti della persona, agendo sulla coesione sociale e sulla crescita dei territori, come proviamo a fare con impegno a Cortemilia”.
E l’innovazione? “E’ pilastro portante dell’industria italiana, specie se guardiamo alle pmi che hanno un asset diverso rispetto alle grandi imprese. Sono infatti le pmi che accedono maggiormente ai fondi per ricerca, sviluppo e innovazione. Ma le aziende che rimangono ferme su questo punto sono destinate a soccombere, perché i finanziamenti e gli incentivi sull’innovazione sono, come spesso accade in Italia, farraginosi e scarni. Nel tempo, iniziative mirate come il credito d’imposta e gli incentivi per l’Industria 4.0 hanno portato buoni frutti, ma già per il prossimo anno si pensa di ridurli al 20%, disincentivando di fatto le aziende a innovare. Sono consapevole che sia estremamente complesso valutare in modo oggettivo e omogeneo la bontà dei progetti, come ad esempio le variabili di output degli sbocchi occupazionali o la crescita dell’azienda grazie al progetto d’innovazione ma mi pare indubbio che anche solo banalmente mantenere i crediti d’imposta al 40% come quelli pensati per l’Industria 4.0 o pensare a incentivi più importanti per l’acquisto di macchinari che agevolino l’innovazione di processo e di prodotto, rappresenterebbe un segnale positivo che incoraggerebbe le aziende a sbloccare gli investimenti. Oggi, le aziende hanno paura, ed è comprensibile”.


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