Alluminio sprecato: così perdiamo la risorsa per il futuro
Per il riciclo dell’alluminio l’Italia è leader in Europa, grazie ad un modello virtuoso in atto dal 1997 e imperniato sull’impegno del Cial, il Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio. Di imballaggi in alluminio si occupa questa filiera, che registra numeri da record: nel 2022 avviato a riciclo il 73,6% di questi prodotti immessi sul mercato, 60.200 tonnellate, dato che ci fa superare il target europeo per il 2025 e per il 2030, 50% e 60%. Modello efficiente anche in relazione al solo tasso di riciclo per le lattine per bevande, il 91,6%, di gran lunga superiore del tasso medio europeo del 73%.
Un successo che fa schierare la dg del Cial, Giusi Carnimeo, decisamente sul versante contrario alla manovra Ue sugli imballaggi, ove si punta a favorire il reutilizzo invece che il riciclo con la proposta di Regolamento, noto come Packaging and Packaging Waste Regulation: “Preoccupa – spiega Carnimeo -che gli obiettivi di riutilizzo, specie quelli per alimenti e bevande, manchino di solide analisi scientifiche prodotto per prodotto. Per noi, l’approccio più equilibrato e adatto è quello di consentire agli Stati membri di bilanciare caso per caso la scelta della migliore soluzione tra riutilizzo o riciclo”. Perché da noi il 100% della produzione italiana di alluminio proviene dal riciclo e ci consente un risparmio energetico di circa il 95% evitando emissioni serra pari a 423mila tonnellate di CO2.
C’è però, su questo fronte, fuori di competenze e responsabilità del Cial, un “buco nero” che ingoia ogni anno poco meno di 65mila tonnellate di alluminio. Non imballaggi ma stoviglie, piccoli elettrodomestici, ingombranti. Sessantacinquemila tonnellate possono essere ritenute forse poche, in 9 milioni e mezzo di rifiuti del nostro Paese, ma rappresentano comunque uno spreco, del quale è pure difficile identificare i responsabili. E che vale, rispetto alle 167mila tonnellate di alluminio presenti nei rifiuti urbani, una perdita di poco meno del 40% del totale.
Ce lo spiega Duccio Bianchi, esperto della materia e autore dello studio Miniere urbane. Nel titolo l’identificazione dei luoghi dello spreco, le città. Quindi, nel sistema dei rifiuti locale ove la raccolta differenziata dovrebbe essere spinta al massimo cova un fenomeno di disinteresse. Lontano e distante dalle attenzioni e sensibilità che dovrebbero guidare uno Stato che ha scelto con questo ultimo governo la neutralità tecnologica e la contrapposizione a programmi Ue redatti senza considerare la specificità, i primati, il “fare bene” di ciascuno Stato membro.
Perché, questo spreco di alluminio? “Localmente – spiega Bianchi – vale l’operato degli impianti di trattamento meccanico biologico, quasi tutti privi dei selezionatori dei metalli non ferrosi che invece necessiterebbero, almeno due su ogni linea di intervento. E’ qui che, alla fine, se ne recuperano solo 1500 tonnellate, tutto il resto va in inceneritori o discariche. Non c’è interesse economico a invertire questa rotta. Non c’è un orientamento contrario”.
In questo modo, si dimentica il futuro: “Entro il 2030, la domanda globale di alluminio aumenterà del 40% arrivando a 119,5 milioni di tonnellate. Nell’automotive, e più in generale nei trasporti, l’ormai inarrestabile processo di elettrificazione comporterà un crescente impiego di componenti in alluminio. Di pari passo lo sviluppo del fotovoltaico (i pannelli sono costituiti per l’88% da alluminio) determineranno una domanda aggiuntiva annua pari a circa 10 milioni di tonnellate”.
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