Allarme Ocse, Bonanni: “Aumentiamo prima gli stipendi dell’Italia che produce”
RAFFAELE BONANNI
di EDOARDO SIRIGNANO
“Sono anni che in Italia non vengono retribuiti merito e competenze. In un periodo così difficile, occorre premiare il Paese che produce. Altrimenti non ci dobbiamo lamentare che i giovani volenterosi e qualificati vanno via, mentre quelli che non lo sono preferiscono stare davanti al bar, prendersi il reddito di cittadinanza e non andare a fare la stagione, come facevano i genitori e i nonni che adesso li mantengono”. A dirlo Raffaele Bonanni, ex segretario generale della Cisl.
L’Italia registra il calo dei salari più forte tra le principali economie. Perché?
L’Ocse non è la prima volta che lancia l’allarme. Il vero problema è che in Italia non viene ascoltato. Nel 2023, a queste latitudini, si percepisce un salario identico a quello degli anni 90. In Germania, al contrario, gli stipendi sono aumentati del 30 per cento. Poco al di sotto di questa soglia gli incrementi in Francia. Si guadagna di più perfino in Spagna e in Grecia. Basti pensare agli sloveni, un tempo considerati sottosviluppati. Adesso quando arrivano in Italia sono loro i ricchi e noi i poveri. Ecco perché questa ricerca non è altro che l’ennesima doccia gelata.
Il sindacato dove è?
Landini non ha un’idea sul problema stipendi, né intende porselo. Dice solo che devono aumentare i salari.
Perché il nostro salario è così indietro?
Per diverse ragioni. La prima è certamente lo schiacciamento fra qualifiche alte e basse. Se andiamo a vedere gli indici di retribuzione, c’è un minimo spostamento, che non ha precedenti in nessun altra realtà industrializzata. Ciò significa che non vengono retribuiti né merito, né responsabilità. L’altra questione è il rifiuto del concetto di produttività. C’è, purtroppo, una parte importante d’Italia che sostiene che le paghe devono essere sempre uguali tra loro. Si parte dall’assurdo che chi lavora produce molto. Il problema, però, è che stiamo vivendo grossi cambiamenti e il valore di un impiego non si può misurare in base al tempo. Fondamentale, poi, il contesto in cui operano le imprese. In una realtà dove i costi dell’energia sono inferiori e infrastrutture, scuola e servizi sono efficienti è normale una migliore ridistribuzione della ricchezza.
Cosa accade, invece, in Italia?
Non si vuol dare il giusto riconoscimento alla produttività, mentre le tasse si avventano solo sui redditi da lavoro.
Mentre aumenta il fenomeno dei cervelli in fuga, ci sono mestieri in cui scarseggia personale qualificato.
Uno dei veri problemi in Italia è la difficoltà a trovare le qualifiche necessarie a far funzionare il sistema. Tutto ciò, purtroppo, riguarda il paradigma che governa il lavoro.
La premier Meloni come si sta comportando a riguardo?
Ho salutato con grande soddisfazione il decreto lavoro che premia straordinari e produttività. Si pone finalmente il problema, dando un segnale. Landini non dice nulla su come alzare i salari.
Viene posta dalla Cgil, invece, la questione reddito di cittadinanza…
Sono mesi che sento parlare di salario minimo in modo strumentale. La verità è che stiamo parlando di un problema che tocca una porzione piccola di popolazione, 700mila persone. Queste persone devono essere aiutate con tutti i mezzi a disposizione e non essere utilizzate per alleanze. Tutto il resto, poi, non viene neanche pronunciato da chi ormai è sinistra solo a parole.
Perché?
I pugni vanno battuti anche quando non c’è redistribuzione delle ricchezze. I problemi si affrontano nella loro complessità. La domanda che mi aspettavo di sentire era: abbiamo fatto il possibile per abbassare le tasse, premiare le produttività, evitare lo schiacciamento tra qualifiche alte e basse? Altrimenti non serve lamentarsi. Perfino nella decadente Inghilterra, chi ha una qualifica viene pagato meglio che in Italia.
Se tutti, però, vanno all’Università, non ci saranno più i vecchi mestieri manuali, così come si avranno non poche difficoltà a trovare camerieri, idraulici o falegnami.
Se abbiamo dato per oltre tre anni un reddito di cittadinanza che equivale a ciò che un qualsiasi cittadino percepisce facendo il bagnino d’estate, tra l’altro per pochi mesi, perché dovrebbe esserci chi si specializza in un mestiere. Questa è una delle tante conseguenze del populismo, fenomeno che non esclude nessuno.
Negli altri Paesi dopo il Covid c’è stata una scossa…
Mentre in altre realtà la pandemia ha fatto in modo che qualcuno si rimboccasse le maniche e si impegnasse a trovare la medicina al male, in Italia si continua a pensare che possano piovere soldi dal cielo.
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