Alberto Stasi in semilibertà, già dal 2023 era autorizzato a lavorare all’esterno del carcere
Dal 2023 era già autorizzato a recarsi al lavoro, ora Alberto Stasi ha ottenuto la semilibertà e potrà rimanere libero per gran parte della giornata per partecipare ad attività istruttive e di reinserimento sociale, lo ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Milano superando anche la richiesta della Procura generale di Milano per il rigetto di questa istanza: il 41enne, condannato in via definitiva nel 2015 a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi avvenuto nel 2007 a Garlasco, potrà prossimamente anche richiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali che è alternativo alla detenzione per la quale gli restano da scontare ancora 4 anni e pochi mesi nel carcere di Bollate. In questo caso, non ritornerebbe più la sera in prigione, svolgendo lavori socialmente utili. In più, considerando una possibile liberazione anticipata, la sua pena completa potrebbe esaurirsi nel 2028 o al massimo nel 2029.
Travagliato, l’iter che ha condotto a questa decisione: la sostituta pg Valeria Marino aveva chiesto di respingere l’istanza, evidenziando un unico neo nel suo comportamento, la mancata richiesta di autorizzazione al magistrato di Sorveglianza per un’intervista al programma Mediaset “Le Iene” realizzata il 22 marzo scorso e poi andata in onda otto giorni dopo, durante un permesso premio che gli era stato autorizzato. Per il resto, le relazioni del carcere erano “tutte positive”. Circostanza che aveva fatto rilevare al direttore del carcere di Bollate, Giorgio Leggieri che in questo caso “non si sono rilevate infrazioni alle prescrizioni”.
La semilibertà concessa a Stasi, che si inquadra in un percorso già da tempo avviato e previsto dalle leggi in vigore nel nostro Paese, ha rianimato da settimane le polemiche sull’intera vicenda, anche per la concomitante circostanza delle indagini fatte ripartire dalla Procura della Repubblica di Milano su Andrea Sempio che stanno da settimane prevedendo nuovi e più elaborati approfondimenti scientifici per accertare la presenza del suo Dna sulle unghie della vittima.
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