AI: filosofia o tecnica?
La parola “artificiale” fa già pensare a qualcosa di tecnico e tecnologico, quasi privo di quella componente “umana” che sempre contraddistingue, almeno dovrebbe, qualsiasi cosa prodotta a nostro servizio.
La parola “intelligenza”, da quando si va a scuola, si riconduce più a contesti matematico-tecnici, che relazionali, umani e umanistici.
È evidente che, a partire dal racconto, per arrivare al suo successivo utilizzo – per non parlare del problema/opportunità (per chi non la conosce, parliamo del primo, per chi invece la studia, parliamo del secondo) – l’intelligenza artificiale, viene mostrata come l’ennesima scoperta riservata a pochi, almeno in questa fase (non più) iniziale; soprattutto nel nostro Paese, lento nel recepire le innovazioni funzionali e meno riluttante ad utilizzare velocemente quelle emotivo-fashion, perché incapace di percepire l’utilità ed il vantaggio di entrambe.
Contaminati da 50 anni di tecnica e tattica, dove il concetto di produzione novecentesca ha comportato solo visioni di specializzazione tecnica – facendo apparire difficile e complesso il mondo tecnologico (ineluttabile), attraverso un linguaggio fatto di soli ingegnerismi e schematismi tecnici – è proprio dal racconto che dobbiamo ripartire: dall’informazione e dalla formazione dei nostri imprenditori, affinché il loro approccio al fare impresa e la loro capacità di cogliere i vantaggi e sfruttare le opportunità del mercato moderno, risultino aperte a visioni filosofiche e umanistiche al pari, se non prioritarie, rispetto a quelle tecniche che caratterizzano l’AI.
Esistono ormai una marea di tool e applicazioni che si possono scaricare nel proprio telefono per creare nuove esperienze, servizi, azioni e strumenti a supporto del proprio prodotto/servizio e della propria gestione aziendale, che dimostrano come il problema NON è assolutamente (o solamente) tecnico e di carattere tecnologico.
Sono sufficienti un approccio (anzitutto di voglia e volontà) strategico e filosofico ed un minimo di capacità tecniche facilmente apprendibili o facilmente delegabili, per iniziare ad utilizzare l’AI e qualsiasi altro strumento, come elemento chiave per produrre valore aggiunto.
Ma siamo sempre lì: se guardiamo solo al nostro prodotto e immaginiamo (come filosofi, non come tecnici) di essere anche produttori di AI, cosa che abbiamo lasciato fare agli Stati Uniti e alla Cina (seguono Francia, Germania, India e Australia – dati Harvard Business Review), ci rimane davvero solo una grande opportunità: quella di formarci e utilizzare, con metodo filosofico-strategico oltre che tecnico, tutti i tool esistenti per creare opportunità dovute a mix di servizi di AI.
In questo modo, oltre a generare valore aggiunto vero, rispetto ai bassi margini delle (piccole) imprese italiane, si potrebbero creare basi di know how applicativo capaci di generare nuove opportunità e legami con i produttori di quella o quell’altra tecnologia, della quale detengono (purtroppo e, forse, pericolosamente) le conoscenze tecniche.
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