Politica

PRIMA PAGINA-Adesso l’Europa parla in italiano

di Giuseppe Ariola -


Sarà stata la linea della fermezza che Giorgia Meloni ha mantenuto intervenendo mercoledì alla Camera e al Senato o, forse, la posizione concisa ma netta del Presidente Mattarella sulla necessità che l’Italia abbia un ruolo attivo nelle grandi scelte che l’Unione europea è chiamata a compiere – a partire da quelle dei vertici delle istituzioni comunitarie – o semplicemente la necessità di ritrovare l’unità nella famiglia dei popolari sul nodo alleanze che vede divisi chi vorrebbe aprire ai Verdi e chi, invece, considera più opportuno guardare ai Conservatori, fatto sta che ieri a Bruxelles il vento spirava verso l’estremo Sud dell’Europa. L’attenzione riservata al ruolo dell’Italia e a quello di Giorgia Meloni è stata fortissima, in barba ai tanti gufi nostrani che non si aspettavano – e men che meno si auguravano – simili attestati. Il primo segnale è arrivato dal numero uno del Ppe Manfred Weber – presidente sia del partito che del gruppo al Parlamento europeo – che arrivando al prevertice del partito ha sostenuto di ritenere “fondamentale per l’Unione europea” procedere sulla strada di “un processo inclusivo che tenga conto anche degli interessi italiani”. Un ulteriore conferma del nuovo clima è arrivata anche dal premier polacco e negoziatore del Ppe nella partita sui top jobs Donald Tusk secondo il quale “non c’è Europa senza Italia e non c’è decisione senza la premier italiana”. La narrazione all’interno dei popolari è dunque cambiata e tra i grandi tessitori di questa nuova linea c’è certamente il vicepresidente del Ppe e vicepremier italiano Antonio Tajani che al vertice dei popolari ha posto sul tavolo alcune questioni che hanno fatto evidentemente breccia. Innanzitutto, il segretario di Forza Italia ha rivendicato il ruolo del partito all’interno della famiglia popolare, ricordando che in Italia è al governo con Giorgia Meloni. In secondo luogo, Tajani ha rimarcato che il governo italiano non può non essere coinvolto nei negoziati. Inoltre, ha fatto presente che chi come i socialisti e i liberali ha perso le elezioni non ha titolo per porre veti su un eventuale dialogo con i Conservatori che sono comunque andati meglio di Renew. Infine, sempre in tema di alleanze, Tajani ha paventato il rischio che un’apertura ai Verdi possa compromettere la corsa di Ursula von der Leyen ed ha definito un errore non avviare prima le interlocuzioni con l’italia. Ma non è ancora tutto, perché un segnale favorevole nei confronti del governo italiano è arrivato anche dal cancelliere tedesco Olaf Scholz che rispondendo a una domanda sul coinvolgimento di Giorgia Meloni sulle nomine dei futuri vertici Ue ha ricordato come a decidere sulle nomine sono “tutti e 27 gli Stati membri nel Consiglio europeo” che sono “ugualmente importanti”.

Che si tratti di un ravvedimento tardivo o di una strategia dettata dall’esigenza di trovare i numeri necessari quando a pronunciarsi dovrà essere l’Eurocamera, dove Ppe, S&D e Renew contano sulla carta 398 voti (a fronte della maggioranza assoluta che fissa l’asticella a quota 361), al netto dei franchi tiratori che già cinque anni fa hanno tentato di impallinare la von der Leyen, resta il fatto che Giorgia Meloni sta godendo di un ritrovato protagonismo in Europa ed è sempre più corteggiata dall’uscente presidente della Commissione, da settimane al lavoro per assicurarsi solide fondamenta sulle quali costruire un secondo mandato.

Quel che è certo, è che il riconoscimento della centralità italiana nel consesso di europeo, anche qualora fosse solamente di facciata per placare il diffuso malcontento scatenato dalla presentazione di una triade di nomi preconfezionata ai vertici delle massime istituzioni Ue, conferisce a Giorgia Meloni l’autorevolezza e l’importanza necessarie a ottenere un commissario con deleghe importanti e la vicepresidenza della commissione.


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