Editoriale

Adesso basta, si lavori alla pace

di Adolfo Spezzaferro -


Non esistono morti di serie A e di serie B, vedere la pioggia di missili lanciati dall’Iran su Israele ci fa impressione. Come ci fa impressione da mesi vedere bombardate e rase al suolo le città palestinesi nella Striscia di Gaza e da qualche giorno vedere sbriciolati interi isolati a Beirut e nel resto del Libano. Vittime civili, donne e bambini, ospedali e scuole distrutti, morte e distruzione ovunque. L’attacco di Teheran di ieri sera era più che annunciato. Obbligato, anzi. Almeno nell’ottica dei nemici di Israele. Ma l’escalation nel Medio Oriente si poteva e si doveva evitare. Proprio per non arrivare a questo punto. Tanti analisti per mesi hanno fatto presente che l’obiettivo principale di Israele fosse l’Iran, che prima o poi avrebbe reagito. Ieri Teheran ha fatto sapere che l’attacco missilistico su Tel Aviv e Gerusalemme è stato lanciato in risposta all’uccisione del leader di Hezbollah, Nasrallah, a Beirut. E ha minacciato che se Israele (e quindi pure gli Stati Uniti) reagirà all’attacco, subirà un contrattacco molto più pesante e terribile di quello di ieri. Mentre vi scriviamo però i caccia Usa sono già in volo e quindi la risposta molto probabilmente ci sarà. E quindi, purtroppo, si alzerà ulteriormente il livello di scontro.

Così come ha già annunciato Tel Aviv – “la risposta sarà terribile”. Ecco perché l’escalation andava fermata prima. Ma Washington ha permesso al governo di Netanyahu di continuare ad attaccare tutti i suoi nemici, in ogni modo, in campo aperto e grazie all’intelligence – con l’esplosione dei walkie-talkie e dei cercapersona indossati dagli esponenti di Hezbollah in Libano -, spianando mezzo quartiere di Beirut per uccidere Nasrallah, invadendo poi via terra il Libano. Una escalation ininterrotta (in cui dobbiamo metterci pure gli attacchi allo Yemen per colpire gli Houthi e in Siria) che ha portato inevitabilmente all’attacco dell’Iran. Sostenere il contrario – ossia che Israele si stia difendendo dagli attacchi subiti è assolutamente fazioso – visto che quelli che Tel Aviv definisce attacchi preventivi sono comunque attacchi. E non reazioni di difesa. Il punto ora è: il presidente Usa Biden vuole davvero un conflitto su larga scala, attaccando direttamente l’Iran al fianco degli Usa? Se così fosse, il conflitto potrebbe pericolosamente estendersi senza controllo. Non a caso ieri alcune fonti diffondevano la notizia che Netanyahu, prima della pioggia di missili iraniani su Israele, abbia tentato di raggiungere telefonicamente Putin per chiedergli di dissuadere Teheran. E nell’ottica dell’azione-reazione e del triste adagio secondo cui quello che semini raccogli, la telefonata è arrivata fuori tempo massimo. Anche perché il Cremlino da mesi dice a Tel Aviv di cessare il fuoco a Gaza e ora condanna l’attacco contro il Libano.

Ecco perché siamo convinti che è assolutamente necessaria una de-escalation e che tutti, a partire dagli Usa, devono sedersi al tavolo della pace. Perché nella polveriera Medio Oriente in questo momento tutto è possibile, e gettare benzina sul fuoco potrebbe risultare fatale. La vendetta contro la vendetta – così, a oltranza – innescherebbe un conflitto le cui proporzioni, lo ripetiamo, sono inimmaginabili, perché esistono alleanze strategiche e militari anche dietro l’Iran. Non soltanto dietro Israele. E se l’Ue e la Nato sono tutte concentrate a sostenere Zelensky contro la Russia, nel frattempo la guerra su larga scala potrebbe scoppiare altrove. In Medio Oriente, per l’appunto.


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