PRIMA PAGINA-Accelerazione della premier sul post Fitto, tutte le deleghe a Foti
Bis dat, qui cito dat. Probabilmente anche a sé stessi. Va presumibilmente letta così la decisione di Giorgia Meloni di promuovere subito Tommaso Foti come successore di Raffaele Fitto in Consiglio dei ministri, evitando pressioni varie ed eventuali, anche da parte degli alleati, e sgombrando così il campo da un toto nomi che, come spesso accade, rischia di accendere tensioni in maggioranza e di suscitare perplessità di carattere istituzionale. Lo si è visto quando è iniziato a circolare il nome di Elisabetta Belloni, forse mai stata realmente in lizza, come sostituta del neo vicepresidente esecutivo della Commissione europea. L’ipotesi di porre in capo al direttore generale del Dis la delega agli Affari europei, schema che avrebbe lasciato il Pnrr al sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha iniziato a scatenare reazioni avverse non appena dopo l’addio ufficiale a Raffaele Fitto, benché dell’eventualità si parlasse già da tempo. Ma come sempre accade quando a circolare sono i classici nomi buoni per tutte le stagioni e per tutti gli incarichi di alto profilo (Belloni è stata anche tra i papabili inquilini del Quirinale nel 2022), tutto tace finché non arriva il momento di decidere. E quando il momento è arrivato si sono avuti i primi forti distinguo nella compagine della maggioranza, su tutti quelli del vicepremier e segretario nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, e sono emerse alcune remore dallo stesso Colle, mentre sullo sfondo serpeggiava la classica questione di opportunità circa la nomina come ministro di una personalità che ha in capo il delicato compito di gestire i servizi segreti. Registrati tuti questi elementi definibili di criticità attorno al prestigioso nome di Elisabetta Belloni, in particolare la ritrosia del Capo dello Stato, Giorgia Meloni ha quindi deciso di accelerare sul nome di Foti, proprio come già fatto in occasione della sostituzione di Gennaro Sangiuliano al ministero della Cultura. Nel farlo, ha però voluto mettere subito le cose in chiaro, soprattutto una volta tramontata l’ipotesi di nominare un ministro dal profilo marcatamente tecnico. Già nella serata di venerdì da fonti di Palazzo Chigi sono trapelate alcune notizie che hanno reso più chiara la situazione che ha poi condotto alla scelta di Tommaso Foti. Si è negata la presunta richiesta di un incontro con la premier avanzata da Tajani per porre un veto sul nome di Belloni, è stata confermata la stima della presidente del Consiglio nei confronti del direttore del Dis e si è ricordato che la casella lasciata libera da Fitto era in quota Fratelli d’Italia e lì sarebbe quindi rimasta. Chiusura dei giochi, al di là delle velate rivendicazioni di qualche alleato di governo a cui faceva gola un posto in più al tavolo del Consiglio dei ministri. E per evitare qualsiasi ulteriore eventuale discussione lo schema è stato netto, un ministro esce e uno entra con tutte le deleghe (Pnrr, Affari europei, Sud e Coesione) già in capo a Fitto. Un’accelerazione repentina che nel giro di poco ha portato, nel primo giorno utile, al giuramento dell’ormai ex presidente del gruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Foti nelle mani del Presidente della Repubblica. “Tommaso – ha dichiarato Giorgia Meloni appena dopo l’incarico conferito dal Capo dello Stato al nuovo ministro – è un politico di grande esperienza e capacità, tra le migliori risorse di cui Fratelli d’Italia dispone oggi. Ha una lunga carriera parlamentare alle spalle e, da capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, ha saputo dimostrare in questa legislatura il suo valore e la sua competenza, guidando il principale partito di maggioranza a Montecitorio”. Gruppo a Montecitorio che oggi alle 14 l’assemblea dei deputati affiderà a Galeazzo Bignami, attuale viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Se la compagine di governo è dunque nuovamente al completo, con lo spostamento di Bignami a quella di sottogoverno si aggiunge invece una nuova casella rimasta libera insieme a quelle dei dimissionari Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli, mai rimpiazzati.
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