A luglio entra in vigore il taglio al cuneo fiscale sui salari
A luglio entra in vigore il taglio ulteriore deciso dal governo sul cuneo fiscale per gli stipendi e per le quattordicesime. Così da Palazzo Chigi, l’esecutivo spera di dare un po’ di ossigeno a un Paese che boccheggia e non soltanto per la calura che lo assedia ormai da settimane. Il provvedimento impegnerà qualcosa come 3,4 miliardi di euro a valere sulle casse dello Stato. In particolare, gli sgravi riguardano l’innalzamento, dal 2 al sei percento per i lavoratori il cui reddito non supera i 35mila euro annui, e peserà su un esonero parziale relativo alla quota di contributi previdenziali in materia di invalidità, vecchiaia e superstiti a carico. Inoltre, il governo ha deciso di innalzare gli esoneri, abbattendo così il cuneo fiscale, dal 3% al 7% se il reddito imponibile del dipendente non va oltre i 1.923 euro al mese e dunque, in un anno, se non si superano i 25mila euro. Le stime riferiscono che, nelle tasche dei lavoratori con reddito fino a 25mila euro, andranno 96 euro in più al mese mentre per coloro che guadagnano fino a 35mila euro annui, si parla di 99 euro mensili in più. Di sicuro, una bella sommetta. Che forse non basterà a rilanciare i consumi ma, di sicuro, farà comodo alle famiglie. Che presto saranno chiamate ad affrontare le bollette estive, quando i consumi elettrici aumenteranno a causa del ricorso ai condizionatori per affrontare le temperature altissime di questi giorni.
Sulle quattordicesime, invece, non è riuscito alla maggioranza di detassarle così come, invece, accadrà per le tredicesime a dicembre. La tassazione, però, subirà alcuni sgravi. Che sono nell’ordine del 2% per chi guadagna fino a 35mila euro e che verranno alzati fino al 3% per i lavoratori con reddito annuale imponibile non superiore ai 25mila euro.
Ma il problema resta. Già, perché nei giorni scorsi, l’Ocse ha riferito che l’Italia vive una situazione paradossale. Per la quale aumenta l’occupazione ma le paghe reali, quelle concrete, si deprimono più da noi che nel resto delle 34 economie nazionali analizzate dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Le retribuzioni italiane, secondo l’Ocse, nonostante gli aumenti nominali hanno perduto il 7,5 per cento del loro valore reale. E ciò accade in un momento in cui l’inflazione morde le carni vive del Paese. Ma non è tutto. Perché le rivelazioni Ocse arrivano a complicare un quadro già pericoloso. L’Istat, infatti, ha stimato che il livello medio dei salari italiani è inferiore del 12% rispetto a quelle Ue. Il confronto con la Germania è ridicolo. Per l’Italia, purtroppo. Un lavoratore tedesco guadagna, mediamente, 8mila euro l’anno in più rispetto a un collega italiano. Se il raffronto è con la statistica dell’area Ue allargata a 27 Paesi, il confronto rimane impietoso. Un lavoratore, da Trento a Lampedusa, guadagna 3.700 euro in meno l’anno rispetto ai colleghi europei. Per l’Istat, infine, il potere d’acquisto delle retribuzioni italiane è crollato del 2 per cento mentre nel resto d’Europa, gli stipendi hanno aumentato il loro valore reale del 2,5 per cento.
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