La rivolta della Puglia contro il grano russo e kazako, aspettando Granaio Italia
In Puglia, un nuovo focolaio della rivolta del grano. L’Europa si muove per misure a sostegno della produzione di mangimi da parte di diversi Paesi, ma “resta inerte e silente rispetto a quanto sta accadendo in Italia sul grano”. L’allarme, dal presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, che torna a denunciare che “Il valore del grano duro prodotto dai nostri cerealicoltori ha subito un vero tracollo, dimezzandosi nell’arco di un anno anche a causa delle importazioni massicce da nazioni come Russia e Kazakistan”.
Inascoltate, le richieste di maggiori interventi contro gli ingressi di questo grano che insidia la produzione nazionale, fin dal settembre scorso l’ipotesi di una taskforce che almeno monitorasse i porti italiani, per disegnare le mappe di questi flussi.
“Abbiamo notizie – ci dice Giuseppe De Noia, presidente di Cia Levante – che questi controlli sono stati alla fine avviati. Fatto sta che il nostro settore continua a subire minacce e attacchi. L’unica soluzione sarà il tanto atteso Granaio Italia, per tracciare il mercato e far partire, finalmente, con il registro telematico anche i processi sanzionatori”.
Nel frattempo la categoria, dopo una petizione da 75mila firme negli scorsi mesi, alza il livello della sua protesta. Da ieri i delegati di Cia-Agricoltori Italiani di Puglia hanno deciso di non partecipare più alle riunioni delle Commissioni Grano delle Borse Merci pugliesi.
Alla Borsa Merci di Bari, martedì 19 marzo il grano duro fino è stato quotato 320 euro a tonnellata, con un ulteriore ribasso di 10 euro rispetto alla scorsa settimana. Alla Borsa Merci di Foggia, il 13 marzo, il grano duro fino è stato quotato 322 euro a tonnellata, con un calo di 15 euro rispetto alla precedente quotazione.
“Chiediamo all’Europa reciprocità di condizioni – afferma Angelo Miano, presidente di Cia Capitanata-. Questo significa che, concretamente, occorre che le importazioni dai Paesi che non si attengono alle regole e agli standard di produzione italiani ed europei vadano vietate, altrimenti si legittima la concorrenza sleale, come sta avvenendo attualmente con importazione di grano duro decuplicate da Russia, Turchia, Kazakistan”.
I cerealicoltori italiani, praticamente, sono costretti a produrre in perdita. Gennaro Sicolo, presidente di Cia Puglia e vicepresidente nazionale, denuncia che “I costi di produzione per coltivare e raccogliere frumento, da oltre un anno, sono superiori a quanto i cerealicoltori possono ricavare vendendo il loro grano. Molte aziende hanno chiuso i battenti, altre stanno cercando di restare sul mercato indebitandosi. Questo avviene non solo nella cerealicoltura, ma in quasi tutti i settori del comparto. Senza redditività, l’agricoltura italiana rischia seriamente di retrocedere, di diventare un’agricoltura di serie B rispetto a Paesi ai quali si permette di produrre secondo regole diverse”.
Un rischio che ha ricadute sui posti di lavoro – migliaia sono in pericolo – e che si traduce in una “dipendenza alimentare italiana dai prodotti importati, nella maggior parte dei casi nettamente meno salubri e qualitativi di quelli italiani”.
Serve Granaio Italia, quindi. Un nodo non sciolto. A causa del contrasto che – conclude Di Noia – “rispetto alle istanze delle organizzazioni agricole, il mondo dell’industria è riuscito a far valere sul piano nazionale della programmazione”.
Torna alle notizie in home