Supersex, il porno come pretesto per parlare di intimità
Borghi è sempre bravo sempre bello e, soprattutto, ha un talento incredibile per le cadenze dialettali. Davanti al trailer della serie Supersex, lanciata su Netflix lo scorso 6 marzo, ero rimasta sorpresa e interdetta dalla presentazione di questo biopic della vita di Rocco Siffredi in stile gangster story patinata. Ma forse si è trattato di una scelta consapevole per distogliere il pubblico dall’idea che una serie dedicata al più importante pornodivo italiano sarebbe stata tutta incentrata sulle sue imprese sessuali e sull’industria dell’hard a cavallo tra anni ’80 e ’90. E invece, paradossalmente, il suo grande pene e tutto il sesso che ha fatto in vita sua, dietro e davanti le telecamere, sono un tulle decorativo: le fragilità emotive e psicologiche di Rocco Tano spiccano sugli altri elementi. Per il Rocco raccontato nella serie, il desiderio sessuale è una spinta benefica e pericolosa allo stesso tempo, il superpotere che lo spinge fuori da Ortona e che anestetizza i dolori, quello della morte del fratellino Claudio, dello sguardo assente della mamma, della lontananza del fratellastro Tommaso che per lui è come un Dio Sole da cui venire illuminati col rischio costante di bruciarsi. Il rapporto con Tommaso, interpretato da Adriano Giannini, è la linea narrativa più complessa e toccante. Un personaggio che forse è stato esagerato, non ci è dato saperlo, ma che, realisticamente, fa quello che può con ciò che la vita gli ha messo in mano. Una figura costruttiva e distruttiva insieme che passa dall’essere estremamente positiva, salvifica durante l’infanzia del protagonista, fino a diventare quasi completamente negativa durante i suoi anni di formazione a Parigi.
I dialoghi con Lucia, moglie di Tommaso e suo amore gentile, sono davvero ben scritti e congeniati: seppur Jasmine Trinca sia poco credibile nei panni di una prostituta di Pigalle, le scene dei due attori insieme (forse grazie al feeling costruito durante le riprese di Supereroi di Paolo Genovese) si muovono su un filo di palpabile umanità: triste, dolce, fragile, sconfitta e vincente. A me è piaciuto molto il modo in cui libido e pornografia nella vita di Siffredi, siano state canalizzate per parlare di affettività, di intimità, di impossibilità di farsi finalmente guardare da una donna e lasciarsi amare. Supersex è stato scritto da una donna, Francesca Manieri, ed è stato girato – oltre che da Matteo Rovere e Francesco Carozzini – da Francesca Mazzoleni che, proprio come me la ricordo poco più che ventenne, ai tempi del laboratorio di cinema alla Sapienza, in tutto quello che firma infila una sensibilità e una profondità che cambiano la percezione complessiva dello spettatore, almeno per lo spettatore che vuole accorgersi di altro oltre la superficie.
Era facile dipingere Siffredi come un eroe (in buona parte lo è), un mito, un’icona, un vanto per il maschio italico medio, e invece non è stata fatta questa operazione e io personalmente ne sono molto contenta.
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