Turismo

In Sardegna sulle tracce del matriarcato

di Angela Arena -


Molte le iniziative, per la Giornata Internazionale dei diritti della donna, celebrata sin dal 1908, per riflettere sulle conquiste sociali, politiche ed economiche che il “sesso debole” ha dovuto affrontare per la parità dei diritti e sulle sfide, ancora aperte. Un racconto, la cui narrazione passa anche attraverso i numerosi Musei e luoghi della cultura chel’8 marzo le donne potranno visitare gratuitamente. Nell’anno del ‘Turismo delle Radici’, la ricorrenza può divenire occasione per tracciare il percorso storico del matriarcato, le cui origini sono da ricercare in Sardegna, : i “popoli del mare” pelasgici provenienti dall’Asia, dall’area egeo-cretese, dall’Iberia e dalla Celtia costretti ad emigrare a causa di disastri naturali. Sebbene il principio della sacralità femminile ha avuto in questa terra uno sviluppo ed una persistenza eccezionale, come dimostrano gli oltre 120 siti preistorici anteriori alla fase nuragica, concentrati soprattutto sul lato ovest dove i fenici si stabilirono intorno al 1.000 a.C. diffondendo il culto della Grande Madre protagonista del santuario preistorico di Monte d’Accoddi presso Porto Torres (2.700 a.C.), una piramide a ziggurath che avvalora l’ipotesi della matrice etnica orientale. In particolare, alla fase fenicia appartengono i “tophet”, siti a cielo aperto dedicati alla Tanit fenicia, la “nutrix”, dove si seppellivano i bambini nati morti, come quello di Monte Sirai presso Carbonia (IV-II sec. a.C.), da cui sono affiorate stele di dee che stringono al petto un fiore di loto, e una Tanit-Astarte che indossa la maschera contro gli spiriti maligni e reca il tamburello per le danze funebri. Il ritrovamento più singolare riguarda il santuario di Bithia, dove decine di figurine votive in argilla rimandano alle ipnosi terapeutiche indotte dalle sacerdotesse sciamane del tempio, le bithiae ‘donne con le pupille doppie’. Lo sciamanesimo femminile del neolitico ha contribuito al fenomeno antropologico del ‘matriarcato barbaricino’, intrecciandosi al culto lunare di Diana, di cui si trovano vistose tracce nella toponomastica dell’isola (Lunamatrona, Nuraghe Luna, Cala Luna, Monte Luna, Monte Diana), tramandato fino alla prima metà del ‘900. Le Deinas, o videmortos per la loro capacità di comunicare con i defunti, furono attenzionate da alcune grandi scrittrici come Turchi (“veggenti stimate e temute allo stesso tempo”), nonché da Grazia Deledda, che ben seppe descrivere il fenomeno avendo “vissuto coi boschi, i venti e le montagne” portando per sempre con sé la sua amata Sardegna.


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