Politica

L’abuso d’ufficio e il coraggio di Nordio

di Francesco Da Riva Grechi -


L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ridona la libertà all’amministratore di un corpo politico o territoriale, al sindaco di qualsiasi città, di poter gestire il suo ufficio senza il ricatto di un’inchiesta penale. In punto di diritto è questione di separazione dei poteri: non si può concordare con coloro che si accontentano del dato formale della codificazione dei principi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
Nel momento in cui ogni magistrato si ritiene libero di esprimere le proprie opinioni politiche, le proprie appartenenze correntizie, le proprie visioni filosofiche o religiose, di manifestare in piazza, esprimersi sui social networks, come ogni privato cittadino, la sua autonomia e la sua indipendenza sono pari alla sua credibilità, che oggi è minima.
Non che si voglia qui sostenere che il giudice non può godere delle stesse libertà degli altri cittadini, però, come dire, da Piero Calamandrei a Gustavo Zagrebelsky, la separazione dei poteri è, anzitutto, la separazione dal potere. Come scrive quest’ultimo: «la ragion d’essere giudici è il diritto, cioè qualcosa di astratto dalla quotidianità e dall’immediatezza dei fatti della vita, con ciò che essi portano di grezzo, occasionale, arbitrario e prepotente».
Il giudice può sicuramente andare nella curva dello stadio di calcio e sgolarsi cantando insieme agli ultras ma non sarà allora un buon giudice sportivo. Potrà dire di aver goduto della libertà di ogni cittadino per sé, ma non sarà mai un buon giudice per lo sport e gli sportivi. Così il magistrato ordinario non deve cercare il consenso come il politico, non deve partecipare «all’immediatezza dei fatti della vita» così come sono, per governarli ed esercitare su di essi un «potere». La sua ragion d’essere invece è il diritto, come astrazione e separazione dal suddetto potere.
Sempre Gustavo Zagrebelsky legge, dal libro dell’esodo (Es 23.2): «Non seguirai la maggioranza per agire male». Secondo chi scrive, in questo, mirabilmente, risiede il nocciolo della separazione dei poteri: nella coscienza del giudice di doversi astrarre dalla contingente dialettica di maggioranza e minoranza, che spetta alla politica, e nel contemporaneo diritto del politico di avere decisioni giudiziarie che non siano il frutto della presunta libertà del giudice di fare quello che non può fare, che consiste nel sostituirsi al politico nella gestione della suddetta dialettica del consenso e del dissenso, della maggioranza e della minoranza.
Questa sostituzione, che costituisce una grave ingerenza ed una classica violazione del principio della divisione dei poteri è una c.d. “figura sintomatica” degli abusi di potere di alcuni giudici. Per evitare questi abusi, questa fuga dal diritto di alcune indagini giudiziarie, questa incapacità di astrazione dalle vicende politiche, campagne elettorali, discussioni televisive, di alcuni magistrati, giudici o pubblici ministeri, è stato necessario abrogare l’astratta figura del reato di abuso d’ufficio, che, in quanto fattispecie astratta di reato, in sé, effettivamente sarebbe neutra.
Purtroppo, l’applicazione di questa fattispecie nella prassi troppo spesso è consistita in abusi di potere da parte di inquirenti e giudici e ciò ne ha resa necessaria l’abrogazione. Complimenti al coraggio del ministro Nordio.


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