L’ANALISI – Trattori e narrazione
di EDOARDO GREBLE E LUCA TADDIO
Non è tra agricoltura e transizione ecologica, ma tra agricoltura e cambiamento climatico. E invece, come sarebbe logico, di aderire al Green Deal europeo, hanno deciso che l’adozione delle misure previste a livello europeo non rientri tra le loro priorità. Il popolo dei trattori sembra considerare l’obiettivo climatico indicato dal Green Deal come un modo per scaricare sul mondo agricolo i costi della transizione ecologica e un ostacolo al recupero della competitività del settore rispetto ai beni alimentari di origine extraeuropea, meno gravati da oneri ambientali e dunque più convenienti per il consumatore.
Ora, al di là delle vicende contingenti, queste manifestazioni di protesta andrebbero inquadrate in un contesto più generale, e cioè la difficoltà di costruire una nuova narrazione intorno al Green Deal, alternativa a quella indotta da percezioni riduttive ed errate del rischio climatico, alimentate dagli interessi dei fossili oppure prigioniere di pregiudizi difficili da scalfire. Nonostante il chiaro potenziale delle iniziative verdi per aumentare i redditi, la produttività e la crescita economica, la sinistra riformista fatica ad articolare una contro-narrazione convincente. E se la falsa dicotomia tra prosperità economica e sostenibilità ambientale finirà per prevalere, la transizione verde mancherà del sostegno politico di cui ha bisogno per avere successo. Ma quali potrebbero essere gli argomenti a sostegno di una narrazione di ampio respiro, in grado di convincere imprese e cittadini che la transizione a una economia green potrebbe essere, per quanto impegnativa, tecnicamente fattibile ed economicamente gestibile, oltre che vantaggiosa per la crescita e l’occupazione?
Anzitutto, occorre sfatare il mito di un conflitto insanabile tra crescita economica e azioni di contrasto al cambiamento climatico. Gli investimenti ecosostenibili offrono nuove opportunità di innovazione e quindi anche possibilità di nuova occupazione. In secondo luogo, occorre porre l’accento sul fatto che i finanziamenti per il clima rappresentano, appunto, un investimento, non un costo. Le politiche climatiche possono promuovere iniziative nel settore privato con ricadute positive sia nell’immediato che nel futuro. In terzo luogo, queste politiche richiedono finanziamenti che, se gestiti in modo adeguato, sono in grado di modellare e persino creare mercati incanalando prestiti, sovvenzioni, garanzie e strumenti basati sul debito e sul capitale proprio verso aziende disposte a investire nella soluzione di problemi specifici. In quarto luogo, una transizione verde ed equa richiede un nuovo contratto sociale, il che significa ridefinire le forme tradizionali di partnership tra governo e imprese.
Se guardiamo alle prossime elezioni europee, è evidente come l’esigenza di una narrazione verde progressista sia divenuta imperativa. Per persuadere gli elettori, occorre mostrare come i nuovi investimenti pubblici e privati mirati a risultati vantaggiosi dal punto di vista sociale e ambientale possano creare un moltiplicatore di crescita a livello economico. Il cambiamento è difficile, pieno di insidie e ci saranno vincitori e vinti. Ma è ormai la sola opzione disponibile, dal momento che il settore agricolo è responsabile del 10,3% delle emissioni di gas serra dell’Ue e quasi il 70% di esse proviene dal settore dell’allevamento. Non sarà facile, ma resta il fatto che per il clima e la società le opzioni più costose rimangono l’inerzia e l’inazione.
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