Milei, la motosega e l’Argentina dei default
Ho seguito il presidente Milei intervistato da un Nicola Porro che sobbalzava simulando disagio quando in realtà si divertiva molto di fronte a singolari esternazioni come “Lo stato è un’associazione criminale, un nemico che disprezzo”. D’altra parte l’Argentina ci ha abituato a essere una fabbrica di sorprese politiche che persistono intoccabili, un laboratorio dove si è inserito con ardore Milei, il nuovo presidente passato a trovarci per un salutino alla Meloni e un veloce abbraccio al Papa suo connazionale dopo aver fatto un salto in Israele. Milei è considerato un grottesco fenomeno nella storia della politica argentina e il suo successo alle elezioni di novembre è stato banalizzato e sminuito dall’establishment come forma di reazione esasperata di fronte alla pervicace incapacità e irresponsabilità della classe politica. In effetti il paese vanta il triste primato di essere la nazione che ha subito il più alto numero di default, sette da quando esiste come Stato sovrano di cui l’ultimo nel 2001, il più drammatico che colpì al cuore la classe media e quelle popolari portando la metà della popolazione sotto la soglia di povertà. Vari governi si sono succeduti da allora ma venti anni dopo il paese si ritrova di nuovo in una situazione drammatica con un’inflazione al 140%, una svalutazione della moneta che compromette la vita di 44 milioni di argentini costringendoli a fare i conti con il fasullo tasso di cambio ufficiale di 365 pesos per un dollaro a cui è impossibile accedere, infatti al “cuevas” (mercato nero) il dollaro viene scambiato ad una quotazione che oscilla fra i 900 e i 1000 pesos. Le riserve della Banca centrale sono state bruciate e solo grazie a un prestito di 6 mld di yuan concesso dalla Cina il governo è riuscito a pagare una rata in scadenza del debito con il FMI. Gli argentini vivono nell’incubo che si ripeta quello che è accaduto nel 2001 quando, dopo la cessazione dei pagamenti del debito, fu proclamato il default fino al corralito, il provvedimento che congelò i conti bancari dei cittadini argentini per un anno, mentre lo stesso default sterminava i risparmi di migliaia di investitori di mezzo mondo che avevano comprato i famigerati bond argentini dietro suggerimento di sconsiderati istituti bancari. Nell’ultimo anno del governo Fernandez la povertà ha superato la soglia del 40% (18 milioni di persone) e di questi 5 milioni si trovano nella condizione di indigenza. Inspiegabilmente è proprio nell’invivibilità delle villamiseria all’interno dei centri urbani – in quella fascia di popolazione che quando va al mercato a comprare le uova non sa se le pagherà 10 o 100, forse 1000 pesos, quegli stessi che si arrangiano con il “trueque” (baratto) per poter sopravvivere – che il liberista liberale Milei ha ottenuto i maggiori consensi. Il nostro Javier (nostro perché di origine italiana), 53 anni, è un economista ultraliberista che si dichiara anarcocapitalista. Afferma di avere deciso di studiare economia quando aveva 11 anni di fronte all’incapacità di capire l’iper-inflazione di un paese così ricco di risorse naturali. È comprensibile lo sgomento di un ragazzino intelligente nato nella nazione che vive la tragedia e l’umiliazione di essere stata fino al 1930 uno dei paese più ricchi del mondo e che, nonostante le eterne promesse assistenziali e l’impegno di difendere i più deboli, è diventata il simbolo del malgoverno economico all’ennesima potenza. Lo sviluppo del piccolo Milei è stato deformato da montagne di debiti esteri, dai prestiti d’emergenza del fondo monetario, da una finanza pubblica sfasciata in contraddizione con le enormi ricchezze agricole e energetiche del suo paese. In questo quadro Milei si popone come un populista che vuole rompere il sistema, e per manifestare la sua rabbia, usa aggressività e violenza verbale senza controllo perché si sa, macilenti pediculi acrius mordent, le pulci magre mordono con più ferocia. La motosega è simbolo per distruggere la “casta politica” responsabile di aver rovinato il suo paese, e la sua infanzia. Ha una ricetta: tagliare la spesa pubblica e sopprimere la maggior parte dei ministeri considerati fonte di sprechi e mangiatoia per le clientele, eliminare la Banca centrale e la sua subordinazione al potere politico che la costringe a stampare moneta alimentando la spirale inflazionistica, svalutare il peso e sostituirlo con il dollaro, introdurre un libero mercato sciolto da ogni influenza dello stato. Secondo alcuni economisti scettici queste sarebbero operazioni piene di rischi che potrebbero aggravare le sofferenze della popolazione già stremata e priva di sussidi e ammortizzatori sociali che il peronismo ha promesso e che Milei vorrebbe eliminare. Io non so se ce la farà, ma credo che gli argentini abbiano il diritto di provarci. Un giovane Jorge Luis Borges ha scritto “essere argentino nei giorni di lotta della nostra origine non è stata di certo una gioia: è stata una missione. È stata la necessità di costruire la patria, è stato un rischio bello che comportava, essendo un rischio, un orgoglio”. Buona fortuna, fratelli italiani che parlano spagnolo.
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