L’addio a Vittorio Emanuele, il principe che fu re di cuori
L’addio a Vittorio Emanuele. Se ne è andato in quella terra che gli fu d’esilio ma che per lui era diventata più casa di quella che, anche dopo il rientro, sentiva di chiamare patria. Con una nota asciutta recante lo stemma di casa Savoia, ci comunicano che sabato 3 febbraio alle 7:05 di mattina nella sua casa in Svizzera, ci lasciava Vittorio Emanuele IV di Savoia, circondato dall’affetto dei suoi cari. Un personaggio del quale si è detto e letto molto, ma non si è mai conosciuto abbastanza. Succede così quando si nasce in un’epoca in cui la cronaca rosa e la cronaca nera hanno più spazio rispetto alle biografie. E perché, tutto sommato, in quest’epoca dove gli unici conti che contano sono i conti correnti, figuriamoci i principi o i princìpi, ha potuto lasciare la vita tenendo la mano di una donna che ha sposato per amore e non per un accordo tra famiglie regnanti.
Per raccontare Vittorio Emanuele, questo principe che non è mai stato re al contrario del padre, del nonno, e del bisnonno, che fu il primo monarca dell’Italia Unita, non si può prescindere dal grande amore per la moglie che gli è stata accanto tutta la vita. Marina Doria, campionessa di sci nautico, conquistò l’erede al trono in esilio e con lui è rimasta fino all’ultimo momento. Un amore che ha tenuto banco per anni sulle cronache pettegole perché essendo lei di famiglia borghese, non fu gradita, in prima battuta, a Re Umberto II, che si rifiutò anche di partecipare alle nozze. Sposando una donna “comune” avrebbe perso anche i diritti di successione al trono, questione che ogni tot è tornata alla ribalta e che “giustificò” anche un paio di cazzotti durante il matrimonio di Felipe di Spagna, rifilati al cugino Amedeo d’Aosta, che rivendicava il trono al posto suo. Trono che entrambi sapevano perfettamente essere un concetto più che virtuale, ma che è stato sufficiente per riempire pagine su pagine di gossip di alta società. Anche in quel caso Marina Doria fu determinante. Se non ci fosse stata lei a portarlo via, ci sarebbe scappata la rissa in mezzo alle teste coronate (regnanti) di tutta Europa.
Sempre Marina Doria è stata quella che, durante il lungo processo per la morte di Dirk Hamer, ucciso da uno sparo a Cavallo nel 1978 di cui Vittorio Emanuele fu accusato, fece la spola tra Francia, Svizzera e Stati Uniti per ricostruire con la più sofisticata balistica per l’epoca, i fatti e scagionare definitivamente il marito. Recentemente, questa vicenda è diventata un docufilm Netflix piuttosto spregevole a firma Beatrice Borromeo, che è andata a stanare vecchie glorie della Roma pariola del tempo, coalizzata nel puntargli l’indice contro.
Tra le fantasie girate intorno a Vittorio Emanuele, quella di essere fratellastro di Giorgio Napolitano, di cui nei salotti buoni, si diceva esser figlio di re Umberto a cui effettivamente somigliava non poco. Negli anni in cui il presunto (gossip mai, ovviamente, confermato e privo di ogni fondamento) fratellastro era al Quirinale come Presidente della Repubblica, ironia della sorte, il principe, che al Quirinale aveva soggiornato come padrone di casa da fanciullo, veniva arrestato in un’inchiesta ribattezzata Savoiagate per mezzo del pm Woodcock. Per chi ama fantasticare, roba da maschera di ferro. O da bad Karma.
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