Meloni e l’Africa: l’Italia ponte per una crescita comune, senza “carità che uccide”
Il primo appuntamento internazionale dell’avvio della presidenza italiana del G7, l’Africa al centro di un incontro che per presenze e modalità è il primo della storia repubblicana, il viatico del presidente della Repubblica Sergio Mattarella con un proverbio del contuinente (“Se vuoi andare veloce corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”. La due giorni aperta domenica con la cena al Quirinale continua oggi al Senato con un vertice, per la prima volta elevato a questo livello, che conta su una platea ricca di 25 capi di Stato e di governo, cui si aggiungeranno i ministri di un’altra ventina di Paesi africani.
Per la premier Giorgia Meloni, l’occasione per la presentazione dei principi generali del Piano Mattei e della sua metodologia, Piano già da tempo al centro di tante e rinnovate proteste dell’opposizione. A cui, però, il governo italiano lavora con “un approccio globale e non-predatorio”.
Una scommessa che probabilmente non vedrà in questa fine di gennaio alcuna materiale e assai rilevante traduzione, se non per la conferma di un metodo ove sarà centrale la condivisione e la collaborazione con gli Stati africani, sia nelle fasi di elaborazione, sia nella fase di definizione e attuazione dei progetti che lo compongono. Insomma, una raccolta di contributi, spunti e proposte da mettere alla prova, a febbraio, con l’operatività della cabina di regia del Piano Mattei in Africa.
I temi di intervento e le priorità sono da tempo sul tavolo: migrazione, sicurezza, catene di approvvigionamento. E “uno sviluppo adeguato del continente africano” improntato alla formazione.
Ragionamenti al centro di un recentissimo incontro a Roma promosso dalla rivista Africa & Affari che l’identità ha seguito. “A novembre – ha ricordato il suo direttore Massimo Zaurrini – , a Marrakech si è tenuto l’Africa Investment Forum dove il presidente della Banca africana di sviluppo Akinwumi Adesina ha detto «Il futuro è in Africa, il futuro è qui, il futuro è adesso». I presupposti ci sono tutti. L’Africa ha le maggiori fonti di energia rinnovabile al mondo, compresi l’idroelettrico e il solare. È la seconda regione a più rapida crescita dopo l’Asia. La popolazione africana raggiungerà i 2,5 miliardi di individui entro il 2050, quando il continente ospiterà il 25% della
popolazione mondiale. Con una popolazione giovanile di 477 milioni di persone di età compresa tra i 15 e i 25 anni, l’Africa sarà la chiave per fornire forza lavoro globale. La dimensione del mercato alimentare e agricolo continentale varrà mille miliardi di dollari entro il 2030, tra poco più di una manciata di anni”.
Uno scenario messo già, negli ultimi due anni, di fronte ad un rimescolamento delle strategie dell’Europa, per esempio, che fino ad allora aveva ricalcato i piani di uscita rigida dal fossile per ricatapultarsi poi in Africa a cercare petrolio e gas: basti vedere l’impennata di forniture che dall’Algeria arrivano oggi in Italia.
La sfida della Meloni, da oggi, è quella di fare sul serio dell’Italia il “ponte” di una crescita diversa dell’Africa ove Bruxelles e Washington sappiano comprendere quanto diverse nel futuro debbano diventare le iniziative di sostegno. Jen Leonard Touadi, ex parlamentare e docente di Geografia dello sviluppo in Africa dell’Università La Sapienza, ha in proposito, nell’incontro di Africa & Affari, ricordato i principi espressi nel 2009 dall’attivista Dambisa Moyo e che tanto fecero allora scalpore. L’Africa, allora come oggi, non ha bisogno di “carità che uccide”, aiuti che la costringono ad una perenne adolescenza economica. Parole che rispecchiano quelle attuali di Giorgia Meloni. Esigenze cui badare ancor più in un continente ove oggi cresce il multiallineamento e crollano i vecchi riferimenti nei Paesi che vi furono colonialisti, specchio di una ricercata maturità che cerca sponde in Europa.
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