PRIMA PAGINA – Fleximan a 30 all’ora: storia di un Paese a due velocità
Chi di autovelox ferisce, di flessibile (e di Fleximan) perisce.
Succede ad alcuni comuni del Nord Italia che ormai da settimane sono sotto l’attacco di Fleximan, l’uomo – o più di uno – del mistero che sradica i rilevatori di velocità installati dalle amministrazioni locali. Uno di loro, quello che ha colpito in Piemonte, è stato beccato nel Verbano per aver distrutto con la sola forza delle sue mani due colonnine per il rilevamento della velocità. Si tratta di un operaio di 50 anni che nel suo territorio, ha dichiarato, avrebbe agito da solo. In ogni caso, che si tratti di un singolo, di una coppia o di un collettivo, Fleximan compare, sradica, lascia il segno e scompare come uno Zorro dei nostri tempi che interviene per combattere i soprusi dei più forti. Ma attenzione a manifestare simpatia nei suoi confronti, perché per i suoi seguaci o per chi plaude ai suoi gesti, l’accusa è quella di apologia di reato. Invece, più “gravi2, le azioni dello sradicatore e dei suoi aiutanti sono punite sia dal Codice della Strada che dal Codice penale. Il primo vieta il danneggiamento dei “manufatti” stradali e prevede una sanzione da 42 a 173 euro, mentre il secondo punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chi distrugge cose mobili o immobili altrui (art. 635).
Fleximan è un giustiziere che sì, danneggia beni comuni, ma che agisce portando avanti quella che potremmo definire una proto-rivoluzione sulle nostre strade, riuscendo a limitare l’azione di quei Comuni che hanno come obiettivo quello di lucrare sugli automobilisti. Perché lo strumento dell’autovelox non serve alla prevenzione dei pericoli del traffico e non limita i pirati della strada, è lo strumento che serve alle amministrazioni locali per fare cassa. Non abbiamo mai sentito un candidato sindaco fare campagna elettorale annunciando l’installazione di colonnine e autovelox per proteggere i propri cittadini, anzi. Nei Comuni ciò molto spesso avviene “a sorpresa”, con gli automobilisti che si ritrovano l’impianto sulla strada che devono percorrono tutti i giorni, dove spesso e volentieri cambia il limite di velocità ogni manciata di chilometri. Sembra palese che lo strumento dell’autovelox non sia stato messo lì per fare prevenzione, bensì per fare da bancomat alle amministrazioni che si ritrovano in varie occasioni con l’acqua alla gola per pagare tecnici, realizzare progetti e chiudere bilanci.
È sempre fondamentale sottolineare l’importanza della prevenzione stradale, del rispetto dei limiti di velocità e dei controlli di chi è alla guida: ci sono tanti altri strumenti per combattere i pericoli sulla strada e l’autovelox non serve a questo, il killer fotografico è solo una copertura e Fleximan lo sa. Serve per quelle decine di migliaia di multe sistematiche che i cittadini pagano per far fronte a una amministrazione che ha dei limiti di gestione.
La stessa mala-gestione che non permette la reale funzionalità delle cosiddette “Città a 30 all’ora”, quella dimensione di sicurezza che potrebbe essere funzionale ai centri abitati anche più grandi, ma non ancora nel nostro Paese. La prova l’ha data Bologna – non la prima ad attuare la misura, ma sicuramente la più grande – che dal 16 gennaio scorso viaggia sotto la soglia dei trenta chilometri all’ora.
Da quel giorno, fra traffico in aumento e multe salate, tra i cittadini si è allargato il fronte del no al limite introdotto dal sindaco Matteo Lepore con l’obiettivo di ridurre, in particolar modo, gli incidenti che coinvolgono i pedoni e le biciclette.
Seppur il proposito è di quelli da perseguire per garantire l’incolumità dei cittadini, la strategia – contenuta anche nella direttiva del Ministero dei Trasporti, nonostante le remore del ministro Matteo Salvini che si è schierato con i bolognesi indignati – non sembra funzionare nel presente. Tra i bolognesi è aumentata la frustrazione di chi con l’auto deve spostarsi necessariamente, come per andare al lavoro, e si ritrova a passare più tempo nel traffico e sempre con lo sguardo più sul contachilometri che sulla strada, per evitare la stangata delle multe.
E se quello della città a 30 all’ora non sembrerebbe – almeno per ora – un modo per far fare cassa ai Comuni, non rappresenta neanche la soluzione per agevolare la vivibilità della cittadinanza, che si è riunita tra gruppi Whatsapp per lamentele e segnalazioni e in una raccolta firme per chiedere al Comune di annullare la misura o almeno modificarla.
Prima di arrivare a una città cosiddetta “slow”, con poche auto e veicoli lenti, i centri urbani dovrebbero essere dotati di tutti quei servizi di trasporto o di infrastrutture che evitino l’uso, spesso costretto per la mancanza di alternative, del mezzo privato. Prima di arrivare al traguardo della “Città a 30”, c’è da percorrere una pista fatta di curve e ostacoli che significano incrementare il trasporto pubblico, ampliando le possibilità di scelta e diminuendo il traffico e le tempistiche, attuando un vero e proprio cambiamento strutturale della viabilità.
E che si tratti di limiti di velocità nelle città o di foto-killer nelle strade, sono le comunità a dover mettere una pezza, lì dove le amministrazioni non arrivano o, arrivano “troppo”.
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