Senza zuccheri aggiunti – Invidia sociale, invidia economica
Un tempo se uno sbagliava e la pagava più o meno cara (che già rispetto ad oggi era qualcosa) si diceva “Così impara”. Oggi difficilmente questo avviene. Non si impara, al massimo si tira avanti. E si dimentica. Rapidamente. L’errore (di comunicazione? Ma anche il torto marcio) viene vissuto come tale solo se ti sgamano e tocca pagarne le conseguenze. E che rimane? L’incazzatura di non averla fatta franca, la rabbia nei confronti di chi ha criticato o ne ha fatto notizia, senza che ci sia alcuna didattica nell’errore e men che meno nella consapevolezza di cosa sarebbe stato giusto e di cosa abbia invece inceppato gli ingranaggi?
Hai sbagliato? Così sbraiti. Basta vedere i mariti delle influencer quando si trovano le telecamere sotto casa e per la prima volta si ritrovano una ripresa che non frutti denari. Per non imparare nemmeno che se si campa di visibilità, ci sta che prima o poi siano visibili anche gli sbagli. Ed è così che gli errori diventano orrori: perché le facce si trasformano, i social si demonizzano, la gente che è quella che ti visualizza e per te che sei pagato un tot al kg tanto da arrivare a comprarteli i follower, da patrimonio diventa manicomio e tu che impari? Nulla, manco a stare zitto, che dovrebbe essere una delle cose più semplici quando non si ha niente da dire per portare l’acqua al proprio mulino.
E invece, in quel minimo regalatoci di silenzio degli influencer, io sono stato così bene che quando ho rivisto comparire come drogati al cospetto del pusher i soliti, senza che niente, nemmeno la fuga dei numeri dai profili, avesse loro insegnato nulla, la tentazione di riprendere in mano un Motorola che manco ti avvisava chi stesse chiamando, è stata altissima.
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