Se il Mezzogiorno torna protagonista
Era da tempo che il Mezzogiorno non viveva una stagione di protagonismo come quella attuale. La stessa Napoli è meta continua di ministri e delegazioni straniere, mentre si susseguono conferenze internazionali e incontri di alto profilo istituzionale, con un ritmo a cui non si assisteva da anni.
Alla luce di tutto questo, la relazione del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sul divario tra Nord e Sud tenutasi ieri appare qualcosa di più di un appuntamento di routine. E’ vero che Visco ha ripetuto concetti ed analisi già sentiti, ma l’impressione è che stavolta ci troviamo di fronte a un vero cambio di passo.
Che negli ultimi tre decenni si siano acuite le differenze tra Settentrione e Meridione è un dato ampiamente acquisito, così come è ormai scontato affermare che il margine di crescita italiano dipende dalla capacità che avrà il paese di stimolare l’economia del Sud.
La differenza rispetto al passato è che l’attenzione si concentra meno su temi quali “la sicurezza” e la “lotta alla criminalità”, o l’implementazione di un settore come il turismo a basso valore aggiunto, mentre tornano centrali le politiche industriali e infrastrutturali. Non sono solo i soldi del PNRR a sollecitare questo orientamento.
E’ lo scenario internazionale ad essere mutato: il cambio di paradigma cui stiamo assistendo a livello di relazioni internazionali, con una nuova cortina di acciaio a dividere la Mitteleuropa dai grandi spazi eurasiatici e dalle risorse energetiche (e non solo) che custodiscono, avrà effetti significativi anche nei rapporti interni all’Italia.
Innanzitutto il Mediterraneo tornerà, con ogni probabilità, ad essere centrale: le vie del gas che partono dal Nord Africa e dal Medio Oriente sono tutte dirette verso la Sicilia e il Mezzogiorno continentale in generale e necessitano di infrastrutture adeguate alle necessità di un’Europa assetata di energia (non più a basso costo), dopo la perdita del partner russo dovuta alla guerra e alle sanzioni. Ma anche la logistica marittima ha bisogno di un hub più funzionale alle sempre più disarticolate catene di approvvigionamento.
A questo va aggiunto il fatto che la crisi dei processi di globalizzazione e la conseguente divisione globale del lavoro, della produzione e del consumo, che aveva favorito la delocalizzazione di tante imprese e attività, potrebbe dare nuovo impulso al settore manifatturiero nell’ex Regno delle Due Sicilie.
Inoltre, i due anni di pandemia hanno inferto un duro colpo al tessuto economico-sociale italiano, impoverendolo, e sollecitando un ritorno dell’intervento pubblico, che inevitabilmente ridarà centralità a Roma, rispetto a Milano, come centro decisionale.
La stessa inflazione, pur distruggendo ricchezza tesaurizzata e rendite grandi e piccole, potrebbe diventare un fattore di stimolo, incentivando l’economia privata e lo spirito di intrapresa in Regioni, quelle meridionali, che più di altre avevano subito il contraccolpo di una moneta forte, tarata sul marco tedesco, come l’euro.
Il ritorno ad investire su Castellammare di Stabia di Fincantieri, così come l’interesse dell’agri-tech israeliano verso il Mezzogiorno, sono tutti segnali che spingono a ritenere che il futuro della Penisola si giochi in fondo allo Stivale. Magari in un paese complessivamente più povero, ma territorialmente più equilibrato, in cui per tanti giovani meridionali possa avere un senso non allontanarsi dai luoghi di origine, ma provare a mettersi in gioco a casa propria.
Alessandro Sansoni
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